Essere adulti fa schifo

28 Marzo 2025
3 minuti di lettura

Avere a che fare con un figlio continua ad essere per me un’esperienza formativa e di scoperta di una portata talmente vasta da non averlo potuto immaginare in ogni possibile previsione.

Iniziai a guardarlo che era indifeso, capivo che senza di me sarebbe morto, che la sua vita era interamente nelle mie mani: ero io a decidere quando doveva mangiare, quando dormire, le medicine che doveva prendere, se doveva sottoporsi o meno a interventi chirurgici… battezzandolo, ho deciso anche se doveva essere cattolico (e su questo non ci trovo nulla di male perché nell’eventualità che un dio ci sia e che quella storia del peccato sia vera, almeno lo metti al sicuro… se poi tu non ci credi sono affari tuoi). Insomma, quando ho avuto a che fare con un neonato ho capito che da lì in poi la mia vita non sarebbe stata più la stessa, che le cose che facevo prima come restare svaccato sul divano due settimane a guardare 8 stagioni di seguito di 24, me le potevo scordare, che era finita… perché dovevo dare una mano a quella povera donna che l’aveva messo al mondo e che per buona parte del tempo sarebbe stata la sua mucca.

E’ chiaro che di fronte alle limitazioni che comporta prendersi cura di un neonato, vengono fuori delle parti di te con le quali non ti eri mai confrontato. Iniziano a mancarti le cose che facevi prima: le uscite con gli amici, la passeggiata in solitaria alla diga, una nottata passata a comporre un brano; ti manca anche la capacità di far volare liberi i pensieri, perchè in qualche modo, anche quando sei solo, la mente torna a quella creaturina, vuoi stargli vicino, abbracciarla, fargli sentire che ci sei e ci sarai.

Passano gli anni e non ti accorgi di quanto sei cambiato. In alcuni momenti metto su uno dei dischi che ho fatto con la band e penso: ma sono io ad aver fatto questa roba? Poi mi guardo il video del Cammino ed ancora penso: perché non mi passa neanche per la testa il pensiero di rimettermi in marcia. Insomma, sembra che tutto quello che ero un tempo sia stato sostituito da un altro me, e questo tizio passa le sue giornate tutte allo stesso modo: sveglia, bisogna portare il pupo a scuola, poi bisogna arrivare a casa in tempo per timbrare il cartellino digitale sennò il software ti genera l’anomalia e devi giustificare. Da lì in poi te ne stai tutto il giorno davanti al monitor, consapevole che di quello che fai, ai colleghi arriverà solo uno scarso 10% (nella migliore delle ipotesi) perché sfortunatamente il tuo piano B, se con la musica non fosse andata, era quello di fare l’informatico, di progettare e realizzare robe che i manager non capiscono perché non si vedono né si toccano, anche se fanno girare tutto quello che poi si vedrà e si toccherà.

In questo mondo devi difenderti, c’è poco da fare! Inutile farsi l’idea che se ti comporti bene, se non pesti i piedi a nessuno, se cerchi di fare il tuo nel miglior modo che puoi, allora nessuno ti farà le scarpe. C’è gente cattiva in giro che pensa solo a sé, e se qualcuno può prendere il tuo posto, lo farà, anche se ne sa un decimo di quello che sai tu. In passato risolvevo facilmente il problema, se non mi piaceva con chi lavoravo, lo salutavo ed andavo a fare altro, magari tre mesi in giro a suonare per l’Europa. Oggi le cose sono cambiate, e questo perché ho due figli che dipendono da me, e non posso azzardare più di tanto, perché c’è il mutuo della casa da pagare e ci sono anche 52 anni che, quando devi cercare un nuovo lavoro, pesano come macigni. Allora ho imparato a come contenermi, ma ho scoperto che c’era un prezzo, perché non potendo più fuggire, dovevo affrontare il conflitto, io che sono di quelli che non litigano mai, e che se proprio ci rimangono male al massimo si fanno i film. Ogni giorno vivo le ingiustizie che subisce l’operaio con la differenza però che mentre tutti loro sono capaci di difendersi, io no, perché ho questa gentilezza che viene presa per soggezione o peggio “babbasunaggine”. Lo diceva mia sorella quando mi ha fatto il test degli archetipi junghiani, io sono il viandante che cammina, cammina, cammina, con il drago che gli cammina a fianco, a debita distanza, e non vuole saperne di fermarsi ad affrontarlo.

Oggi quando guardo Corrado, vedo un bambino con l’anima leggera; quando sorride e gli occhi gli si piegano ad arco, il suo volto è illuminato da un entusiasmo che provo anch’io ma che oramai fatico a ritrovare. Penso subito a quanto fa schifo la vita degli adulti incanalati nei percorsi della società, penso a quanto mi si è appesantita la testa da quando anche io ho iniziato a strisciare in quei tunnel, e mi impensierisce il fatto che tutta questa negatività alla lunga possa influenzare anche il mio rapporto con lui.

Oggi quando guardo Edoardo, mentre accenna un sorrisino dopo aver palummiato di tutto, penso alla vita che esordisce con la meraviglia e la gioia e che per la maggior parte della gente, come una curva di gradimento, punta dritta verso il basso; una disperata involuzione, probabilmente dovuta agli schemi sociali, dove se hai il tempo o il coraggio di fermarti un momento a pensare, la domanda che senti risuonare dalle tue profondità è: ma io, dove sono finito?!

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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