a Gianni Cavalieri

16 Marzo 2025
5 minuti di lettura

Quando sono entrato a far parte dell’azienda che lui aveva contribuito in larga misura a creare e far crescere, non conoscevo ancora quel lato forte del suo carattere, per molti temibile e terribile, alimentato da una volontà inattaccabile, guidato esclusivamente dall’inesauribile energia di realizzare la propria visione. Insomma, molto prima d’essere il “presidente Cavalieri”, per me era Gianni, l’amico della zia Carmelita, quel simpatico signore baffuto che mi teneva sulle ginocchia quando ero bambino e per il quale, fino a grande, ho provato quella naturale simpatia riservata alle persone che, anche se distanti dai nostri interessi e passioni, in qualche modo ci attirano.

Qualche mese fa, mi sono ritrovato a parlare con lui dell’arrivo di Edoardo. Gli dicevo che nei primi tempi è difficile non considerare un bambino appena nato alla stregua di un tubo digerente malfunzionante, che da papà, nei primi mesi di vita del figlio, ci si sente piuttosto inutili, e che quei piccoli esseri sono semplicemente cosine che si attaccano alla tetta, piangono, dormono, vanno di corpo, e poco più.
Con la sua risposta mi ha convinto che ero in errore, che dovevo prestare attenzione agli intermezzi tra la cacca, il sonno e le urla che a volte fanno uscire di cranio: le pause in cui ti fissano e sembrano imbambolarsi. Sono proprio quelli i momenti in cui prendono contatto con il mondo, in un flusso potente di informazioni che dagli occhi viene trasmesso alle più profonde pieghe di un cervello ancora in formazione che inizia a strutturare la propria base di conoscenza e fors’anche la personalità intera.

Oggi, mentre cerco di definire una qualità di Gianni che credo di aver conosciuto e di cui sono stato fortunato beneficiario, la ritrovo esattamente in quelle poche parole pronunciate fuori da un hotel di Milano, appena prima che mi congedasse dicendo «vai, che perdi il treno». Parlo della sua capacità di far sentire le persone “ascoltate” che credo derivi da una naturale curiosità per “l’altro da sé”, che in un’epoca popolata di distratti e narcisisti risulta del tutto fuori dal comune.
Così come aveva spinto me ad incuriosirmi per ciò che mio figlio di 5 giorni poteva voler conoscere da me in quelle pause, così era lui… curioso di chi gli stava davanti, senza timidezza o vergogna, anche se con il riserbo ed il rispetto necessario a non sembrare invadente. Certo, non avendolo conosciuto al di fuori del contesto familiare, non posso affermare con sicurezza che riservasse la stessa attenzione a ogni essere umano, ma il successo ottenuto nella sua professione e le innumerevoli attestazioni di stima e affetto che leggo nei post di cordoglio (alcune delle quali certamente autentiche e genuine) mi sembrano essere una chiara testimonianza del fatto che di persone che riteneva meritevoli della sua attenzione ce ne siano state tante, familiari, amici, colleghi che gli si erano affezionati per quella parola, la battuta o il consiglio che in qualche modo sembrava essere esclusivo, come se dietro le righe dicesse: «bada che questo è per te, non lo sto dicendo a caso o per il puro piacere di farti vedere quanto sono bravo ed intelligente».

Quando non ero ancora entrato in azienda, lui era semplicemente Gianni, e non provavo alcuna soggezione verso di lui. Lo stimavo una persona intelligente e colta che si interessava a come stavo, a quello che pensavo e che provava con garbo a trasferirmi un po’ della sua esperienza per aiutarmi nelle scelte, insomma quello che ci si aspetta da chi ti vuole bene.

Quando però sono entrato in azienda, il mio rapporto con lui è cambiato. Da principio ho iniziato a chiedermi se nel rivolgermi al presidente dovessi usare il suo titolo anziché chiamarlo per nome. Sfortunatamente mi sono lasciato condizionare anche da quel senso di soggezione e paura che provavano gli altri nei suoi confronti, cominciando così a dubitare della nostra familiarità precedente. Negli ultimi 6 anni sono rimasto quindi in disparte, mentre avrei potuto approfittare della vicinanza per aumentare il nostro livello di conoscenza, ma anche per godermi di più quei momenti in cui prendevamo il caffè con lui nell’ufficio della Syneos, ascoltando i suoi aneddoti e partecipando alle sue idee sulla vita, sul mondo, sugli affari. In quei momenti ho scoperto che il termine “annacare” deriva dalla “naca”, quella culla di stoffa sospesa, mossa da una corda con la quale si dondolavano i neonati, e che il termine “caristi ra naca” (sei caduto dalla naca: per dire che qualcuno stava facendo una mossa poco intelligente) si ispirava a ciò che a volte accadeva ai poveri neonati che finivano per terra se si tirava la corda maldestramente. Concordavo in pieno con la sua avversione verso l’inglese che oggi è il principale strumento di “fuffa” dei professionisti del marketing e nonsolo. Amava la lingua italiana e sapeva usarla molto bene, credo che non sopportasse affatto sentir dire “sono in call” oppure “facciamoci un meeting” e se non c’era un particolare motivo, barrava nelle comunicazioni qualsiasi uso di un termine straniero che non avesse il suo omologo nella lingua italiana. Un giorno si parlava di patriarcato per via delle tristi vicende di questi tempi che lo hanno reso argomento di moda, e ha spiegato come persino i locutori ne fossero influenzati se ragioniamo sull’etimologia della parola “patrimonio”. In qualche modo voleva far riflettere su come i ruoli tra i sessi siano stati un elemento che non veniva messo in discussione in passato, e che il perbenismo della società super connessa di oggi probabilmente fosse una esecrabile malattia. Chi rispettava e conosceva la sua intelligenza, non si sarebbe mai sentito offeso, era un uomo che non concedeva spazio a buonismi, dotato com’era di uno spirito critico originale e genuino.

Mi è piaciuto quando davanti ai colleghi ha raccontato alcune storie sulla nonna Ninetta poco dopo la sua scomparsa e quando si interessava a come stava mio padre, mio fratello e tutti gli altri. Era presente in molto delle occasioni importanti, specie in quelle particolarmente dolorose, ed è per questo che la mia famiglia considerava lui e Olga quasi come dei parenti.

Purtroppo non lo conoscevo bene Gianni, ed era tra quelle persone che avrei voluto frequentare di più e di cui essere amico, perché oltre a sentirmi voluto bene, riusciva a farmi riflettere, e non per diventare un bravo imprenditore o manager (professione cui non ho mai anelato), ma per quello che una persona di cultura con una spiccata dote comunicativa è in grado di trasmettere a chi ha le orecchie ed il desiderio intellettuale di accogliere quell’eredità. Era la sua curiosità verso il mondo che faceva la differenza, ed il successo che ha ottenuto nella sua vita professionale è stato una conseguenza di quella qualità. Era un uomo d’affari capace, non faceva parte della schiera di furbi che pensano solo ad arricchirsi portando aziende e stati interi alla rovina.

Avrei voluto parlare ancora con Gianni e credevo di avere tempo per superare questa mia forma di intolleranza emotiva verso l’autorità, ma quando arriva la fine, i progetti a lungo termine sono quelli che finiscono sottoterra insieme al corpo… vorrei poter dire che ho imparato a non dover aspettare che le cose accadano, perché la natura è matrigna e non gli frega nulla dei nostri giri di giostra su questa terra, ma se c’è una cosa che mi è sempre mancata è la capacità di superare la paura del giudizio unita ad un formidabile muro emotivo con il quale mi proteggo dagli altri. Vorrei dire che ho capito quello che ha sempre ispirato il pensiero di Gianni e cioè che dobbiamo lavorare insieme superando i piccoli egoismi, le gelosie e soprattutto ascoltandoci gli uni con gli altri, ma con buone probabilità mi resterà solo la consapevolezza che persone come lui sono davvero rare, perché io ho sempre fatto una gran fatica a far emergere negli altri la voglia di “lavorare insieme” che è presente nel profondo di ogni animo umano.

Addio mio buon caro vecchio uomo coi baffi, ti volevo bene.

L’immagine è di Marco Cavalieri (ritoccata con un po’ di intelligenza artificiale)

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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