Metropoli

9 Gennaio 2008
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8 minuti di lettura

cover: shout (2003) di JapiHonoo

“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.”
Italo Calvino

Dopo le festività del Nyttår i miei gentili amici dei boschi sono tornati alle loro attività di sempre. Grethe è rimasta con me nei giorni a seguire cercando di accarezzare quello che restava delle mie speranze. è stata dolce e gentile, spero di poterla incontrare ancora. I giorni pesano come macigni, così come quest’anima sospesa che si ostina a restare attaccata al mio debole corpo. Ho trascorso queste ultime ore gridando, Hilde si nasconde fra gli alberi e teme le mie urla: fino a quando non cederò al richiamo del sonno, sarò al sicuro.
Dopo la mutazione di “Perduta” non ho fatto altro che pensare al vostro mondo, in me si è accesa la curiosità di sperimentare nuove forme di conoscenza ed è per questo che ho chiesto a Grethe di aprire una porta intradimensionale nella grande quercia. Ella si premurò di avvertirmi del fatto che attraverso quella porta mi sarei imbattuto in un altroquando incerto, niente a che vedere col mio passato e, con molta probabilità, nulla che ricordasse la pace e la tranquillità dei luoghi appartenuti alla mia infanzia. Accettai ogni rischio.
Troppo a lungo avevo percorso le vie di un sentiero circolare, illudendomi di poter mutare ogni giorno, quando in realtà non facevo altro che girare intorno ad un mio bisogno, alla speranza di poterla vedere ancora, alla fiducia in un miracolo che, dopo essersi realizzato, aveva svelato la vacuità di troppe convinzioni. Per questo dovevo tentare, avevo bisogno di sperimentare un sentiero diverso, il Perpetuo Camminare avrebbe atteso qualche giorno.
Grethe posò le sue delicate mani alla base di un albero e pronunciò alcune frasi a me incomprensibili. Sotto i piedi avvertivo delle leggere vibrazioni, poi alcuni pezzi di muschio si staccarono dalla corteccia che si allargava crepitando, come se un fuoco invisibile la stesse costringendo a dilatarsi. Da lì a breve si aprì un varco, a quel punto Grethe si fece da parte e disse: <<Ecco, mia tenera anima, la tua porta, che il tuo viaggio possa darti le risposte che meriti.>> <<Non potrò mai esprimere a parole la gratitudine per tutto ciò che hai fatto e fai per me. Spero di ritrovarti qui al mio ritorno>> le risposi. <<Non è necessario che tu mi ringrazi, in questo mondo il bene si concede con gratuità. Piuttosto stai attento, perché nel posto dove andrai Varg è padrone di molte anime e Hilde è riuscita a devastare i cuori di molti buoni, è un mondo che rende fragili ed esposti al male. Potresti ritrovarti solo e disperato, davanti alle superfici riflettenti non riconoscerai il tuo aspetto e, in quanto creatura sospesa, di volta in volta assumerai forme consone al tuo sentire. Attento anche a non smarrire la via del ritorno e fuggi il male, saprai riconoscerlo meglio di tutti gli esseri che popolano quel mondo, esso si cela dietro forme che conosci, sarà invisibile agli occhi di tutti ma a te apparirà con un aspetto deforme e temibile. Ricorda, il bene ha sempre gambe più veloci e fuggire non è codardia, il male puro non lo puoi combattere, riusciresti solo a liberare la tua rabbia e ne diverresti subito schiavo.>> Dopo aver detto queste parole mi strinse forte al petto, liberando un dolce profumo d’eucalipto. <<Che fine ha fatto il tuo albero?>> le chiesi <<Bruciato nel grande incendio della foresta a sud di Krasnoyarsk per mano di uomini votati alle regole di Varg e all’accumulo di effimeri valori di cellulosa. Forse anch’io, un giorno, avrò modo di dimenticare il mio dolore per la separazione e donare il mio cuore ad un altro albero. Ma vai adesso…>> Così iniziai il mio nuovo viaggio accompagnato dalle invocazioni che Grethe rivolgeva agli spiriti del bosco: <<Scortate questa creatura a me così cara e sappiate svelarle la via del ritorno quando il suo cuore sarà sazio della conoscenza che brama.>>
Mi ritrovai nudo, accovacciato su uno strano terreno duro e spigoloso. Il cielo aveva il colore della notte, ma delle strane luci provenivano da ogni dove. L’ultima volta che avevo visto una manifestazione così sorprendente ed al contempo inquietante era stata nel covo di Hilde. D’improvviso udii un rumore assordante ed una luce ancora più forte ed abbagliante puntò dritta su di me. Gridai così tanto che tutto il mio viso si trasformò in un’unica bocca urlante. Ricordai le parole di Grethe, pensai che il male stesse venendo a prendermi, così mi alzai e cominciai a correre lontano da quella luce che continuava a venirmi dietro. Sentivo il cuore esplodermi in petto mentre il mio corpo veniva avvolto da un gelo terribile: crollai, sfinito.
<<Si sente bene? Ricorda il suo nome? Cosa ci faceva nudo sulla pista di atterraggio? Signore? Riesce a sentirmi?>> Guardavo dritto negli occhi la figura che pronunciava quelle parole, una figura maschile con un camice bianco ed un altrettanto bianco bavaglio a coprirgli la bocca <<Io… dove sono, cosa ci faccio qui?>> L’uomo rispose: <<L’abbiamo trovata sulla pista di atterraggio dell’aeroporto, è stato fortunato che a quell’ora della notte non siano previsti voli perché in caso contrario avrebbe rischiato la vita.>> <<La luce, perché quella luce mi seguiva?>> <<Dalla torretta di comando hanno notato un uomo sulla pista e hanno puntato il riflettore su di lei. Sa, in questo mondo può andare dove vuole, però è auspicabile che le piste di atterraggio siano riservate ai soli addetti ai lavori.>> Mi sollevai dal morbido giaciglio su cui avevano deposto il mio corpo e tutte le cose intorno a me cominciarono a dettagliarsi meglio. L’uomo notò il mio sguardo smarrito e così continuò: <<In questo momento si trova in ospedale, ha la febbre molto alta e abbiamo dovuto somministrarle alcuni farmaci per farla scendere, riesce a ricordare il suo nome?>> <<“Perduto”,>> risposi <<il mio nome è “Perduto”. Adesso posso andare?>> <<Molto piacere “Perduto”, io sono il Dott. Bondevik, sono il medico che l’ha presa in cura,>> mi strinse la mano <<se vuole può andare, però, deve rispondere ad alcune domande che le porgerà un ufficiale di polizia, lei capisce, non si può stare nudi su una pista di atterraggio e poi andare in giro per la città senza avere prima dato qualche spiegazione. Tuttavia preferirei che questa notte lei riposasse, ho già detto all’agente che potrà interrogarla domani mattina, ha dormito a lungo ma il suo fisico è ancora molto provato. Adesso la lascio, se ha bisogno di qualcosa tiri la cordicella che sta sopra il suo letto.>> Mi soffermai a guardarlo, aveva un viso squadrato ed una barba nera molto sottile, gli occhi piccoli ma profondi e mi sorrideva, quasi con tenerezza. Annuii e lo ringraziai ricambiando il suo sorriso. Quando se ne andò mi alzai dal giaciglio e raggiunsi una delle superfici riflettenti di cui mi aveva parlato Grethe. Avevo già notato il piccolo rettangolo lucido su una delle pareti e avevo anche visto una parte del corpo del gentile signore riflettersi dentro di esso. Grethe aveva ragione, l’oggetto non mi restituiva il mio solito aspetto. Il viso era piccolo, la barba nera e molto lunga, così come i capelli, arruffati e senza forma. Mi fermai invece a lungo sui miei occhi, quelli li riconoscevo, al centro c’era un’immagine che non avrei mai dimenticato, il viso di “Perduta”. Mi chiedevo se sarei riuscito ad incontrarla e soprattutto se anche la sua forma esteriore fosse mutata come la mia, ma in fondo non ero lì per questo. E’ giusto che “Perduta” decida quando e dove incontrarmi ancora, e sono sicuro che saprà come fare.
<<Mio padre mangiava le stelle di stoffa che mia madre cuciva per me. Di notte, quando lei dormiva, divorava anche quelle della sua sposa: le si avvicinava lentamente e, a poco a poco, saziava la sua fame. Mia madre proteggeva le mie stelle, ma chi pensava a proteggere le sue?>> Solo un pensiero che mi è balenato alla mente, chissà poi perché, proprio adesso che scrivo. Ma torniamo alla mia storia…
Dopo aver superato lo sconforto legato alla vista del mio nuovo aspetto, raggiunsi l’apertura sulla parete, fu facile comprendere ed utilizzare il meccanismo che teneva unite le due parti di legno che impedivano al vento di entrare nella stanza. Non appena il varco fu libero sporsi fuori il capo: il cielo era grigio, l’aria maleodorante, tante piccole scatolette rumorose in basso correvano come lucertole impazzite, in un senso e nell’altro, con uno schema preciso ma delirante e poi alte costruzioni senz’anima tutt’intorno, con sparute macchie di verde in cui avvertivo tristezza e malinconia. Dov’erano gli uccelli, dove le tenere creature del bosco, il muschio, i fiori, i possenti alberi? Dov’era il sentiero? Lì sotto c’erano innumerevoli percorsi che si intrecciavano come interiora, mi chiedevo come riuscissero le creature di quel mondo a trovare la giusta direzione, come riuscissero a svegliarsi la mattina senza il canto degli uccelli per passare buona parte della loro esistenza in quelle scatole senza vita. Un sentimento misto fra paura e confusione si impadronì di me, mi sentivo perso e forte tornò il senso di vuoto che avevo sperimentato nei giorni successivi all’incontro con Hilde. Qualcosa dentro di me era più fragile del solito, il cuore di Hilde non aveva del tutto abbandonato il mio, era meno potente ma pur sempre presente. Decisi di andare, di tornare al mio bosco, non potevo trattenermi oltre, quel mondo non mi apparteneva ed io non appartenevo ad esso, lì io non esistevo. Mentre questi pensieri angoscianti si impossessavano della mia mente mi resi conto di come il mio corpo cominciasse a svanire, così ricordai ancora le parole di Grethe e attinsi a ciò che restava in me del cuore di Hilde: la sensazione di non esistere mi stava rendendo invisibile alla luce. Ero ancora in grado di uscire da quella stanza, andare in strada e cercare un albero, o qualcosa che potesse riportarmi indietro, avevo solo bisogno di concentrarmi sulla sensazione di vuoto, era l’unica cosa da fare in quel momento, una volta fuori avrei affrontato il resto. Le persone gentili che si erano prese cura di me avevano lasciato una comoda e calda veste appesa ad una parete, la indossai e raggiunsi la porta. Appena fuori dalla stanza mi accorsi di un uomo che stava seduto alla fine del corridoio, gli passai accanto, così come feci con gli altri all’ingresso, fui fuori dalla struttura in pochissimo tempo e senza essere visto da nessuno. Su un cartello dinnanzi alla porta dell’edificio lessi: “St Olavs Hospital – Trondheim”. Ero fuori, per la prima volta Hilde era stata utile a qualcosa.
Quello che accadde dopo preferisco raccontarvelo domani, adesso è tempo di cercare un riparo per la notte e poi ogni sera torno alla quercia nella speranza di incontrare ancora Grethe. Abbiate cura di voi, io cercherò di averne di me stesso, sono momenti difficili ma come mi ha detto Nisse qualche giorno fa: <<Ogni essere vivente ha in sé le risorse per superare qualsiasi ostacolo.>>

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(da Linea di confine, una favola d’amore. Di Nicola Randone con il contributo di Emanuela Fragalà)

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

3 Comments

  1. DD -> benvenuto, grazie del tuo ermetico ma azzeccato parere

    moon -> si, non mi ero reso ancora conto di quanto la realtà possa essere difficile da accettare in certi momenti, fortunatamente perduto ha ritrovato la via per ritornare alla sua dimensione, e sono contento del fatto che vi resterà ancora a lungo :) un abbraccio

  2. c’è un fondo doi dolorosa tristezza, quasi di rassegnazione. un urlo inespresso inquietante di sofferenza che l’immagine scelta completa. ciao Nic

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