Ma noi, noi quando siamo?

27 Aprile 2009
7 minuti di lettura

“quoto l’interessante commento di Stefano (nic: il mio dolore più bello) al post 10 modi per sopravvivere ad una delusione d’amore)”

O notte che guidasti,
O notte grata più dell’alba chiara;
O notte che legasti
Amato con amata,
Amata nell’amato trasformata!

(“Notte oscura” -Cantico Spirituale – San Juan De La Cruz)

Ciao Art. Grazie per il sempre caloroso benvenuto, amico mio! Ed, ovviamente, un cordiale saluto a tutti voi del blog.
Ri-torno da queste parti, dopo esserne stato un poco lontano. Per chi non mi conoscesse, scrissi su queste pagine alcune cose, sul finire dell’anno passato. Erano liberi sfoghi, riflessioni, resoconti di faticose arrancate e croniche ricadute, proponimenti personali. Accadde in un momento duro della mia vita emotiva, un frangente di affilatissima solitudine e sofferenza. Qualcosa di estremamente vischioso, sfuggente, pressoché indomabile dalla ragione. Un sentimento di radicale smarrimento. Uno scuotimento di terrore. Struggente. Sfibrante. Assoluto.
Scrivere pubblicamente era un modo efficace di condividere il patimento.
C’era stato un abbandono. Inaspettato. Dolorosissimo.
Seguì, poi, un riavvicinamento.
Ora, di nuovo un imprevedibile (…no, stavolta forse no) abbandono…

Lei.
Il mio dolore più bello.

Quanto può essere bello, avvincente, innamorante un dolore?
Molto. Molto davvero. Immensamente.
Lo è al punto da indurci, talora, con illimitata, cieca e per nulla saggia abnegazione persino a venerarlo.
Ci deve essere qualcosa di profondamente misterioso nell’animo umano. Qualcosa che, mercé una inconsapevolezza nodale della reale natura delle cose, così come esse si sostanziano in verità, persuade a considerare il dolore come un fatto ineluttabilmente legato all’amore.
Una vertigine ed una devozione al tempo stesso. Un’idea archetipa di notevolissima forza suggestiva. Tanto che, addirittura alcuni tra i fondanti, più elevati e trascendenti aspetti del sacro sono intimamente caratterizzati da questo rapporto: Amore-Dolore.
L’intera tradizione del nostro Occidente si è informata su questo principio. Un dio che ama, ed ama con tale intensità da sacrificare la propria vita per gli amati. Non dovremmo stupirci troppo della facilità con la quale siamo allora vincolati a questa idea, e tendiamo ad accettarla. Ma, soprattutto, a patirne le conseguenze.
Certo, l’amare implica anche il soffrire. E non vi è amore più grande di chi dà la vita per l’amato. Amare è innanzitutto Dare. L’incondizionato Dare. Una donazione integrale, assoluta di Sè. Al punto che il Sè si disfa, si scioglie, fluisce. E transita verso “l’altro da Sè”. Si riversa irresistibilmente nell’Altro. Con questi allora prende ad amalgamarsi, a fondersi intimamente, si ristruttura, dando così luogo ad una rinnovata e portentosa concezione del proprio modo di vivere, di pensare, di agire. E’ il momento in cui la parola “Io” cede il posto alla parola “Noi”.
Chi è stato innamorato ed è stato ricambiato, lo sa bene.

“Amato con amata,
Amata nell’amato trasformata!”

Quando viene a mancare questo prodigioso movimento del cuore, della mente e del corpo, questo travaso di generosa dedizione che catalizza la trasformazione dell’ ego in qualcosa di più spazioso ed accogliente, in effetto manca l’amore.
Tutti, qui, nell’agorà di Art, patiscono la mancata realizzazione di un tale straordinario mutamento dell’Essere. Se ciò fosse accaduto, se i nostri amati avessero contenuto quel che noi riversavamo in loro…bè noi non avemmo avuto proprio nulla di doloroso da raccontare. Nulla da masticare col sapore del lamento.

Amore. Dolore. Non vi è intelligenza più elevata, spirito più nobile, sensibilità più eccellente nella storia dell’umanità che non abbia parlato di questo binomio.
“Allora?!”, si dirà! Così stando le cose, è tanto nichilista forse il destino del cuore? Tanto buia ed incerta l’aspirazione al bene? Tutto indissolubilmente, tristemente stretto alla sofferenza? E’ l’amore, in fin dei conti, un precipitato di dolore?
Forse c’è qualcosa ancora da considerare.
Amor di dio, amor di uomo.
Due moti differenti.

Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira impari?
Discorde è il senso: Apollo non ha altari
all’incrociarsi di due vie del cuore.
Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?
Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.
In verità cantare è altro respiro.
È un soffio. Un nulla. Un calmo alito. Un vento.
(Rainer Maria Rilke)

Un dio lo può. [ ] Ma noi, noi quando siamo?

La parola “amore” contiene in se diversi significati e viene utilizzata, indistintamente, per definire esperienze emotive differenti. Col tempo, il vocabolo ha finito per assorbirli tutti, in un sincretismo che ha generato qualche possibilità di fraintendimento.
E’ possibile amare le persone, gli animali, gli oggetti, le attività, le idee e le emozioni, ed ovviamente anche la divinità. Ad ogni forma di amore, dovrebbe associarsi un significante quanto più esclusivo possibile, affinché possa mantenersi quel necessario ordine del pensiero atto a discernere, allontanando dall’equivoco e dalla sofferenza che, proprio in ragione dell’equivocare, spesso può generarsi. Nell’antichità, infatti, più saggiamente quest’ordine semantico era stato creato, e veniva rispettato, pur se, per la natura stessa che caratterizza l’amore, due diverse locuzioni potevano convergere od anche allinearsi. I greci classici distinsero i sentimenti amorosi secondo le loro sfumature; più tardi, lo fece anche la Psicologia. In riferimento esclusivo alla coppia, provo ad offrirvene una sintesi:

Eros. E’ l’esperienza emotiva sostenuta dal desiderio. Identifica l’amore sensuale, la smania di possesso fisico dell’altro. Esso è imperniato sull’attrazione fisica e l’intesa erotica; sono elementi rilevanti le forti emozioni e la passione. Spesso è denso di narcisismo, concupiscenza ed autogratificazione. Nel significa più elevato e nobile, individua invece la potenza generatrice dell’amore.

Himeros. Vicino ad eros, ma di forma inferiore, maggiormente cieco ed istintuale. E’ il desiderio sorto al momento, e che chiede immediata soddisfazione. Un moto di passione repentina ed incontenibile.

Mania. Questo tipo di amore afferisce alla possessività. Caratterizza relazioni turbolente, pesantemente disegnate dall’emotività. Dominano la gelosia e l’incapacità di vivere con equilibrio la separazione.

Ludus. Modalità amorosa imperniata sulla giocosità e sul sostanziale disimpegno. Il rapporto è focalizzato sul piacere divertito, rifugge la noia e la norma della quotidianità, non accetta l’impegno ed il coinvolgimento in situazioni che implichino la pur minima perdita dell’indipendenza personale. Uno od entrambi i componenti della coppia mantengono la frequentazione assidua di numerosissime amicizie, sacrificando molto tempo alla relazione tra i due.

Photos. E’ il sentimento amoroso in embrione. Genera dal desiderio di ciò che si immagina fonte di felicità, e verso cui si tende.

Storge. L’amore che coniuga affetto e passione. Questa sentimento esprime forte affezione per la persona amata, unita a sereno piacere. Basato su uno strettissimo legame tra i due individui, include anche i più rilevanti impeti sensuali, quando sollecitate. Storge è “curare teneramente”: include l’amore fisico (Eros) ma abbraccia molto di più: colora il rapporto di dolcezza e delicatezza, esprime la ricerca delle componenti intimistiche nel rapporto affettivo. Si distingue dagli altri tipi di amore per la fiducia e la confidenza che caratterizzano la relazione. In esso giocano un ruolo fondamentale i valori etici: stima, rispetto, solidarietà. Di base, anche l’affinità caratteriale e le idee, la condivisione di progetti e aspettative concrete per un futuro vissuto come “senza tempo”, senza termine. Storge pensa al futuro come al “per sempre”. Ciascun membro della coppia ricondiziona costantemente le proprie esigenze in virtù di un sollecito desiderio di favorire le esigenze dell’altro. E’ generato e perpetuato dall’attrazione integrale per l’altra persona, e si pone l’adeguata aspettativa di un ritorno di amorosi sentimenti, altrimenti perisce.

Anteros. E’, per certi versi, l’aspetto realizzativo di Storge: è l’amore pienamente corrisposto.

Philia: E’ l’amore che unisce gli amici. Unitivo, caldo, solidale.
Agape. E’ la forma più alta dell’amore. Si fonda sul dono privo di qualsivoglia aspettativa di ritorno, sulla totale gratuità del sentimento rivolto alla persona fatta oggetto d’amore. Agape è sostenuto dalla volontà, è alimentato dalla incrollabile intenzione di farlo sorgere e perdurare, è incondizionato negli effetti e non viene dunque mai meno, qualunque siano le corrispondenze che provoca sull’altro. Detto altrimenti, è l’amore totalmente altruistico, scevro di egoità, munifico e rarissimo, nel quale i due amati cessano di pensare a sè stessi ma si pongono a totale servizio del partner, senza la ricerca di alcuna contropartita materiale o spirituale. Viene indicato anche con il termine più moderno di oblatività. Agape è perennemente offrire e perennemente dare, ed è riscontrabile nei soltanto nei rapporti d’amore indicibilmente maturi, in cui l’abnegazione per il destinatario del sentimento è assolutamente totale. Curiosamente, questo termine fu adottato nella stesura dei Vangeli in lingua greca, non esistendo precedentemente. E’ usato preminentemente per indicare l’instancabile ed incondizionato amor di Dio per gli uomini, o quello dei mistici verso di Lui.
Dunque: queste le forme dell’amore.
Sorgono allora due domande: quale è stata la nostra modalità di amare?! E, ancor più importante, quale vorremmo fosse stata, o desidereremmo fosse quella futura?

L’incommensurabile Agape?
Oppure il grandioso, ma più umano e praticabile, Storge?

Personalmente, credo che tanti di noi abbiano cercato con tutti loro stessi l’amore unitivo e altruistico di storge, ma abbiano finito col praticare una confusa forma di agape. Già, perché l’oblatività, seppur possibile tra amati, per definizione è totalmente gratuita,libera dall’aspettativa di ritorno e non può quindi arrecare alcuna sofferenza. La sofferenza nasce dalla mancata corrispondenza dell’amore donato. Un amore di grado comunque elevato, maturo, e che giustamente chiede di essere ricambiato.
Ecco il grossolano fraintendimento!

Quando, nel mio caso, dopo svariate umiliazioni ed un glaciale distacco, lei, la mia ex, si ripresentò, dicendomi di star male, che aveva bisogno di me, io tornai. Prontamente tornai. Avrei dovuto resistere, ed in parte lo desideravo anche, poiché non era piacevole gestire quella sua sofferenza autoinflitta, e caricarla per intero sulle mie spalle. Art mi mise sull’avviso: alcuni di noi si sentono cavalieri senza macchia e senza paura, ma stai attento…
Cavalieri, e dame, senza macchia e senza paura, sempre pronti a soccorrere, a dare, a credere, a giustificare, a perdonare…
Ma siamo, in realtà, solo uomini e donne. Con il desiderio di amare, col desiderio di essere amati.
Uomini e donne. Non dei o dee.

Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira impari? [ ]
Un impegno facile al dio. Ma noi, noi quando siamo? [ ]
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.

Quel che deve finire, è bene che finisca. Un amore non corrisposto attiene di più agli dei. Altrimenti è destinato a spegnersi. E non saremo certamente noi, qualunque cosa faremo, ad impedirlo. Lasciamolo finire. Lasciamo che segua la sua sorte. Che si estingua. Che si spenga. E con esso, la sofferenza attraverso cui noi, ostinatamente, continuiamo a nutrirlo. Lasciamolo andare. Ecco, si è spento…

Un ringraziamento a chi, pazientemente, è arrivato a leggermi fino a qui.
Saluti a tutti, tutti voi.

Stefano

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

14 Comments

  1. “Quanto può essere bello, avvincente, innamorante un dolore?
    Molto. Molto davvero. Immensamente.
    Lo è al punto da indurci, talora, con illimitata, cieca e per nulla saggia abnegazione persino a venerarlo.”

    Mi è tornato in mente questo passo letto tempo fa proprio quando ieri sono tornato a provare quel dolore che credevo di essermi lasciato alle spalle. Forse è proprio quel senso di venerazione del proprio amore perduto che contribuisce a tutto questo. Questa senso di amore di un essere umano nei nostri confronti che scambiamo per l’ amore di un dio perfetto che ci ha miseramente scaricato.
    Mi sto rendendo conto di quanto si è nudi di fronte all’amore. Qualsiasi forma di difesa o di “voler tenere i piedi per terra” non ti rende immune dal male che può generare una persona su cui riponi la tua fiducia totale. Prendere coscienza di aver dato fiducia a chi questa fiducia l’ha tradita in modo squallido fa davvero male e mette inevitabilmente in discussione molti aspetti del nostro “sentire” che credevamo infallibili. Spesso sarei quasi desideroso di un confronto aperto con questa persona per fare chiarezza dentro di me (o magari fare ancora più confusione….) ma non ho mai trovato la forza/il coraggio di smuovere questo stallo e questo silenzio per paura di una fredda e cinica reazione o per paura di farmi ulteriore male e ritornare a vivere momenti di smarrimento interiore totale.
    Anche queste sensazioni credo siano il frutto dell’ insicurezza interiore provocata che non mi permette di essere lucido e non mi fa più rendere conto di cosa sia giusto/sbagliato e di che tipo di cose ho bisogno adesso per ritrovare la mia parte migliore.
    Ciao Art,grazie.

  2. caro Stefano ho aspettato tanto, forse troppo tempo prima di scrivere qualcosa in calce a questo meraviglioso, toccante e illuminante intervento…

    “Quel che deve finire, è bene che finisca. Un amore non corrisposto attiene di più agli dei. Altrimenti è destinato a spegnersi. E non saremo certamente noi, qualunque cosa faremo, ad impedirlo. Lasciamolo finire. Lasciamo che segua la sua sorte. Che si estingua. Che si spenga. E con esso, la sofferenza attraverso cui noi, ostinatamente, continuiamo a nutrirlo. Lasciamolo andare. Ecco, si è spento…”

    queste frasi, in conclusione all’analisi dell’animo umano più profonda che mi è capitato di leggere, queste frasi, il punto di volta, la piena consapevolezza del qui ed ora, un qualcosa che a momenti alterni sono riuscito quasi a capire, assaporare…ma sono momenti troppo brevi… Le lezioni impartite da questo professore (la vita…) a volte sono troppo criptiche…comprenderle davvero esige una dedizione e una tempra che in questo momento della mia vita non riesco ad avere… il tempo scorre comunque incurante di come sono dedito ad impiegarlo…sprecarlo pensando a cio che è stato è qualcosa di lacerante, ma a volte succede, e non posso impedirlo, come mi ha detto Art posso solo accettarlo…

    Grazie Stefano, Grazie di cuore, dedicarmi a pensieri profondi come la tua analisi è il miglior modo per non sprecare il tempo pensando ad un dolore che ha fatto il suo tempo…
    un abbraccio sincero

  3. ma quanti vivono l’amore Agape o Storge? Su 10 coppie forse una sola vive il vero amore “divino”; e poi sarà per tutta la vita? l’amore si trasforma, nel tempo e nello spazio, quindi ci si adatta, si combatte, si piange e si ride insieme senza arrendersi mai. Questo per me è il vero amore, quello dei miei genitori che si sono amati, hanno combattuto, hanno pianto e riso insieme, litigato più volte ma senza mai arrendersi. Ora sono sereni e felici insieme, come sempre.

  4. Vi ringrazio perchè io sto vivendo un abbandono e le vostre sagge parole mi stanno fornendo un notevole aiuto. E’ difficile in questi momenti ragionare lucidamente ma è necessario sforzarsi per cercare di vedere oltre al puro e solo dolore dell’abbandono. E’ una sofferenza atroce che può arrivare a farci sentire piccoli ed insignificanti con l’inevitabile conseguenza di vedere tutto in maniera negativa, finendo per annichilirci all’inverosimile. Invece bisogna tentare di vedere oltre e fare tesoro di questo momento, di questo dolore, perchè può solo arricchirci. Perchè è solo attraverso i dolori che impariamo veramente a capire ed apprezzare di più la vita. Se assimiliamo questo dolore nel modo giusto potremmo forse un giorno vivere la prossima storia d’amore in tutt’altro modo, senza probabilmente ripetere gli stessi errori che hanno fatto sì che venissimo abbandonati. Perchè sì l’amore può finire o può semplicemente spostarsi su un’altra persona e noi tante volte non abbiamo delle colpe precise se non forse quella di non aver prestato abbastanza attenzione ai cambiamenti e alle esigenze di chi amiamo. Forse la prossima volta saremo più attenti o forse ricadremo negli stessi errori…nessuno può saperlo.
    Io dal canto mio mi sforzo di vivere il mio dolore ma di non far sì che prenda il soppravvento su di me, perchè il dolore va vissuto e assorbito per poterci rendere migliori e più saggi.
    Nonostante questa lacerante sofferenza, che a volte pensiamo che non finirà mai, esiste tutto un mondo là fuori che aspetta solo noi, e proprio noi meritiamo di essere ancora felici. Bisogna solo convincersene.
    Grazie per le vostre parole…
    Hel

  5. ciao stefano… il tuo commento estende il concetto legato all’idealizzazione del sentimento (e di conseguenza dell’oggetto del sentimento stesso) offrendo interessanti e potenti spunti di riflessione per chi, come te, come me, ha fatto l’errore di credere che la sola potenza del proprio sentimento potesse “aggiustare” questioni e parametri che in realtà tale sentimento, almeno su questa terra, non possiede. Solo una cosa mi preme aggiungere, questa tendenza non è da tutti, è vero che ha una sua origine nel tipo di cultura di cui siamo imbevuti, e specialmente dell’educazione religiosa che ci hanno imposto da bambini e che poi abbiamo modellato e personalizzato sulle nostre fedi e passioni, ma non tutti sono in grado di creare questo immenso castello di carta che al suo crollo fa tremare le fondamenta stesse della nostra esistenza. Ho visto che molti reagiscono alle delusioni con meccanismi di routine: si vanno a cercare altre persone con cui consolarsi, oppure si buttano a letto a piangere per giorni, o ancora si danno all’alcool o all’autodistruzione o peggio se la prendono anche con violenze verbali e (ahimè) fisiche verso chi li ha abbandonati… insomma a seconda del carattere… pochi (e credo che molti di questi siano concentrati qui) vivono l’esperienza del dolore nella sua forma più alta tanto che sovente, dagli amici, ci si sente dire: ma tu ci godi in fondo a stare così. Ecco, io credo che il profondo cambiamento interiore, il distacco dall’amore umano, l’elevazione del proprio spirito verso forme, pur illusorie, di amore divino, possano essere raggiunte solo da anime particolarmente sensibili, spiriti che non vogliono rassegnarsi a vedere crollare la loro grande fede in un amore che sia davvero legato al significato più antico della sua parola (sanscrito: amore = non muore)… per fortuna siamo essere fatti anche di ragione, ed è grazie alla ragione che ci si riconosce, in umiltà, come uomini… ma diamine sai che ti dico, ti dico che certe sensazioni sono impagabili e che anche se l’altro se n’è strafregato e non ha capito, beh, poco conta, è un patrimonio che ci portiamo dentro ed in qualche modo ci sarà utile in altre occasioni ed in un altro modo che non sia necessariamente il rapporto con una donna… felice di rileggerti come sempre… un abbraccio grande

    • Ciao Nicola. Ancora una volta mi onori di tanta attenzione. E ciò non può che muovere in me un profondo senso di gratitudine. Concordo appieno con la tua opinione. Il dolore, se vissuto come opportunità, permette di trasformarne la più apparentemente naturale forza distruttrice in un un impulso ascendente, rivolto certamente verso l’alto. Come ebbi forse modo di citare già, “Dio spesso entra attraverso una ferita”. Ho esperienza di due carissimi amici che, a causa di un abbandono, hanno scoperto la fede; non già come mero antitodo alla disperazione, ma nel senso più maturo ed autentico. Ciò detto, credo in ogni caso che il dolore possa e debba essere estinto, e sostituito dalla serenità di spirito, da uno schermo tangibile di pace che, ora in primo piano, ora solo appena ravvisabile sullo sfondo, prenda via via a colorire le nostre esistenze, in qualunque tipo di rapporto esse siano impegnate. Questo ambizioso proposito implica un meticoloso e sistematico lavorio interiore. Un lavoro che il dolore può, se ben utilizzato, anche catalizzare. Dolore come strumento, dunque. Solo un mezzo, più o meno abile, da cui poi comunque staccarsi, al quale non “affezionarsi” comunque mai…
      Felice di ritrovarti, come sempre. Un abbraccio grande anche a te.

      • Questo blog è molto bello.
        Ci sono capitato per caso cercando su google esperienze di vita vissuta come questa.
        Un saluto a tutti!

        “Io ho quel che ho donato”

      • Nicola, Stefano, i vostri interventi sono a dir poco MERAVIGLIOSI perchè estremamente ragionati e veritieri. Indubbiamente frutto di esperienze personali che, seppur drammatiche e dolorose, rivisitate da voi acquistano un indiscutibile senso di arrichimento interiore, unica cosa di cui far tesoro quando si affronta, con intenso dolore, la fine di un amore vissuto con dedizione ed impegno.
        Ciò che accomuna tutti noi che, probabilmente per caso, ci ritroviamo tra i link di questo blog, è la forte sensibilità che denota le nostre personalità e che dovremmo appunto considerare un pregio, un elemento di dinsinguo in un mondo di relazioni umane caratterizzate per lo più da alte forme di egoismo individuale. Gli animi sensibili invece soffrono perchè ripongono aspettative nel “NOI”, nutrono quel rapporto e danno incondizionatamente senza pretendere necessariamente un tornaconto personale. Tutto questo dolore, visto nell’ottica della sensibilità, credo ci faccia un grande onore, anche perchè siamo “animi in estinzione” oserei dire..tuttavia propongo a tutti noi di trarre da queste esperienze di dolore, l’esigenza di tirare fuori un pò di sano amor proprio, di provare a dare in un certo senso un pò meno nel rapporto di coppia, perchè ho capito che se dai troppo dall’altra parte diventa qualcosa di scontato e probabilmente stanca un pò..quindi diventiamo più “ponderati” nell’elargire affetto ed attenzioni =)! In bocca al lupo a tutti e grazie. Vi abbraccio

      • concordo pienamente anche in questo perchè l’ho vissuto e lo sto vivendo in prima persona..”Dio entra anche e soprattutto attraverso una ferita”…la ferita diventa il punto di svolta per volgere lo sguardo su qualcosa di grande..il vero amore..

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