L’uomo che cessò di sentire

22 Aprile 2008
9 minuti di lettura

Cover: Old man di Inesa Kayuta

Erano passati 3, forse 4 anni, neanche lui sapeva dirlo con esattezza. Mi sono trovato nella sua modesta casa, seduto su di un altrettanto modesto divano tutto scassato, a contemplare bellissimi quadri alle pareti, c’erano fotografie sparse per ogni dove e statuette di legno di fattura africana occupavano ogni angolo libero delle due stanze nelle quali viveva. – Ecco – mi disse – questo è il mio piccolo mondo antico, questa casa è divenuta il simulacro triste delle mie emozioni passate. – Così dicendo prese la mia mano e mi portò vero una delle pareti – Osserva qui… – disse, indicando una bella foto inserita all’interno di una gradevole cornice di legno – questo ero io… io e la mia musica. La passione scorreva nelle mie vene come l’alcool in quelle del pover’uomo che sono adesso. Un tempo andavo fiero della maniera in cui riuscivo a sottomettere il mio cuore alle dure leggi della ragione, mentre adesso di quella meravigliosa ragione è rimasto solo un ricordo rabbioso: se solo l’avessi mandata al diavolo, se solo avessi ascoltato di più il mio dolore di stomaco. –

Le sue parole suonavano gravi come un vecchio tamburo da funerale, erano pesanti persino per me che, con il mestiere che faccio, ho davvero ascoltato di tutto. – Dimmi N., cosa ha costretto la tua mente nella decisione di far cessare ogni tuo sentire? -. Dovevo parlare molto lentamente e fare in modo che il mio vecchio amico guardasse i movimenti delle mie labbra, N. aveva perso l’udito 3 o 4 anni addietro, non ricordava con precisione. – Ogni suono ha cessato di esistere nella mia testa quando ho dovuto rinunciare ad una donna che amavo con tutta l’anima, lei era tutto per me, era il sole che al mattino scalda le anime intorpidite dei sognatori , era la luna che dipinge sul mare percorsi per mistici, era la pioggia che pulisce le lordure del mondo, il vento che trascina con sè i ricordi più tristi… lei era Dio per la perfezione di ogni parte del suo essere, era la regina ed io il re, e da lei avrei voluto 10 figli da crescere con la mia musica e l’amore immenso che mi rendeva capace di provare. –
– N., perchè hai dovuto rinunciare a lei? Cosa… – mi interruppe – Un giorno, mentre tornava a casa, un uomo le andò incontro e cercò di rubarle un piccolo anello che aveva comperato per me. Lei si oppose ma lui non rinunciava, e così finì per farla cadere da una scalinata di pietra. Non appena ebbe raggiunto l’ultimo gradino, il suo dolcissimo capo picchiò duramente sul cemento del marciapiede. Io ero a casa, stavo scrivendo un’altra canzone dedicata a lei quando arrivò la telefonata. Pazzo di terrore mi precipitai fuori da casa e raggiunsi la stanza d’ospedale dove era stata portata. Un gentile uomo col camice bianco mi fermò sulla soglia della sua stanza e mi disse che lei non stava bene, che aveva battuto la testa, che dormiva e non potevano svegliarla, che la sua meravigliosa mente aveva subito danni che non erano ancora in grado di stabilire, almeno fin quando non avesse ripreso conoscenza. Vegliai su di lei per una settimana intera quando, una notte, fui svegliato dalla sua voce: dove sono, chi mi ha portato qui. Raggiunsi il suo viso e gli occhi miei si inumidirono subito per la forte emozione: Sono io amore, sono N. Sei caduta tesoro mio, ma adesso va tutto bene, adesso sei con me. Lei mi guardò con aria stupita e poi pronunciò le parole che mi fecero gelare il sangue: chi è lei? Non la conosco…

Non sapevo cosa dire, certo in quel momento non immaginavo che… – e si bloccò, quasi che stesse cercando di sentire ancora quell’emozione che descriveva. – Lei non si ricordava di te, vero? Ha perso la memoria. – , – Già, – rispose N. – e non sai quanto tempo sono stato al suo fianco nella fiduciosa speranza che il mio amore potesse aiutarla. Quando fu congedata dall’ospedale tornò a casa con me, si guardava intorno come se vi entrasse per la prima volta. Guardava le fotografie con noi due e piangeva, piangeva disperatamente perchè non riusciva a ricordare nulla. Passarono due mesi, e ancora niente… passò un anno ed un giorno la trovai con le valige sul letto: N. , disse, mi dispiace ma devo andare via, restare qui mi sta distruggendo, mi distrugge vedere te che cerchi con tutte le forze di farmi ricordare quella che ero, distrugge me perchè le tue storie sono bellissimi racconti della vita di una persona nella quale non riesco più a riconoscermi. Vorrei amarti come facevo, ma non riesco, non riesco a guardarmi allo specchio senza vedere quella che sono adesso, seppur vorrei tanto essere la donna perfetta di cui mi racconti. Non puoi continuare a prenderti cura di me, non puoi rovinare la tua vita per me, se mai dovessi ritrovare la memoria, allora tornerò da te, e di sicuro sarò la donna più fortunata dell’intero universo. Per adesso è giusto che ti lasci vivere nel modo in cui meriti, è giusto che tu rinunci a me, così come io ho dovuto rinunciare all’amore di cui tanto mi parli.

E così varcò la soglia della porta, lasciandomi incredulo a fissare la parete del corridoio. Le settimane che seguirono furono durissime, volevo sapere se stava bene e così la chiamavo, sentivo la sua voce e così ero io quello che stava male. Ma non volevo che se ne accorgesse, e allora le dicevo di volere solo la sua felicità, le dicevo che io stavo bene perchè forse, lontano da me, sarebbe riuscita a ritrovare la memoria, l’avrebbe trovata e sarebbe tornata, e ci saremmo fatti una casa, avremmo cresciuto dei figli, e quando le dicevo queste cose lei rispondeva che si, sarebbe tornata, e sarebbe stata felice, e voleva solo questo, voleva essere felice come tutti gli altri, che proprio non riusciva ad esserlo più.

Avevo paura a dirle che volevo rivederla, paura che lei fosse costretta a dirmi di no e così starci male, perchè in fondo mi ero preso cura di lei e si sentiva tanto in colpa per essere la causa della mia sofferenza. Non volevo che si sentisse in colpa perchè sarebbe stato ingiusto, lei non aveva nessuna colpa, avrebbe potuto innamorarsi di nuovo ma queste cose non accadono solo perchè le vogliamo, accadono se le sentiamo e basta. Il tempo in cui lei si era innamorata di me era passato, adesso c’era solo il presente, ed in quel presente io non ero più l’uomo che le aveva cantato la sua dichiarazione d’amore, non ero più il ragazzo pieno di sogni ed entusiasmo che aveva conosciuto in quel pub di periferia, ero solo un uomo che le aveva dedicato la vita, che aveva capito che niente contava al di fuori di lei e che il vero sogno da inseguire doveva essere quello di renderla felice. Se solo avessi provato a tornare quello di prima, se solo… – e ancora si interruppe, come se da quel rimpianto volesse rubare un’emozione per così tornare a sentire.

– La incontrai qualche mese dopo, stava facendo compere presso un negozio di artigianato africano vicino Piazza Castello. Quel giorno i colori del mondo tornarono a brillare per i miei occhi, le chiesi come stava e lei mi sorrise, mi abbracciò e poi mi diede un bacio sulle labbra: adesso che ti ho visto sto meglio. Mi raccontò della sua vita fino ad allora, che aveva ricominciato a lavorare e che tutti l’avevano accolta con gioia, mi disse che si stava facendo seguire da un’analista per recuperare la sua memoria e che aveva fatto molti progressi. Non osai chiedergli se tra questi progressi c’era un ricordo che poteva riguardarmi, non osai perchè in quel caso sapevo che sarebbe tornata. Così andò via, baciandomi ancora sulle labbra, dicendomi di avere fede, perchè se era così grande l’amore di cui le avevo parlato, allora se ne sarebbe ricordata presto. Ed io restai lì, ad osservare gli oggetti del negozio, e fu quel giorno che presi la statuetta che vedi alle tue spalle. – Mi voltai verso la direzione del suo dito e notai la figura in legno di un guerriero alta quasi quanto me, con una collana di pietre dure al collo ed un vestito di stoffa verde. – E’ lì che andavo quasi ogni giorno, nella speranza di incontrarla, e delle volte compravo altre statuette, cornici, tavolini, sgabelli, perchè quegli oggetti erano stati a guardarla per un pò ed in qualche modo, tenendoli a casa, la sentivo più vicina.

Un giorno di pioggia, mentre uscivo dalla sala prove, la vidi appoggiata ad una ringhiera, un uomo ben vestito le reggeva l’ombrello e la baciava con dolcezza, e lei ricambiava con altrettanto candore. Stetti immobile, sorridetti, pensai che finalmente poteva essere felice. Poi fuggii. In quelle ore provai ogni tipo di emozione possibile, provai odio, provai gioia, e poi amore e disperazione, poi più nulla. Mi ritrovavo a passeggiare per la strada, lontano qualche chilometro dalla macchina, senza alcuna consapevolezza di me. Nessuna lacrima riusciva a venir fuori dai miei occhi, nessun sentimento di qualsiasi natura. Quel giorno incontrai A., mi sorrideva dietro al bancone di un pub. C’era Jam quella sera, presi la chitarra e cominciai a cantare e suonare: Jeff Buckley, Halleluja. La gente era immobile, c’era solo la mia voce ed il suono ghiacciato della mia chitarra elettrica. Quando chiusi con l’ultimo inciso si sollevò un applauso fragoroso, è stata l’ultima volta in cui il mio cuore mi ha parlato. A. si è avvicinata a me dopo aver portato due bicchieri di birra ad una coppia. Mi ha chiesto se mi andava di aspettare la chiusura. Così ho fatto, l’ho aspettata. Poi siamo andati a casa mia, abbiamo fatto l’amore, e quella è stata l’ultima volta in cui ho fatto l’amore con una donna. Il giorno dopo ho preso la macchina, la mia chitarra, gli ultimi soldi che mi restavano in banca e sono partito, ho girato il mondo per 6 mesi interi. Pian piano i suoni di ogni cosa cominciavano a farsi più tenui, quando tornai ero completamente sordo. Non la rividi più, o forse non ricordo più di averla vista. L’amore che serbavo nel mio cuore era così grande che ero stato costretto a schiacciarlo, ed egli aveva portato con sè tutto il resto delle mie emozioni, persino il mio udito. Adesso sono qui, sto bene, ma ho cessato per sempre di sentire. – A quel punto N. si fermò, raggiunse il divano sgangherato sul quale prima eravamo stati seduti, e si lasciò cadere sospirando.

Gli misi una mano sulla spalla, evitai di dirgli altro. I suoi occhi vuoti ed inespressivi non tradivano alcuna emozione, quello sguardo mi faceva quasi paura, l’assenza totale di emozioni deve risultare indifferente per chi la sperimenta su sè stesso ma sconcertante per chi la vede dall’esterno. Non so il motivo per il quale quel giorno avesse deciso di chiamarmi, c’eravamo persi di vista dieci anni prima e non credo sapesse che nel frattempo mi ero sposato, che avevo avuto un figlio ed ero diventato un avvocato penalista di successo. Ascoltando il suo racconto non ho potuto fare a meno di pensare alla mia storia, a come mia moglie abbia dovuto lottare coi fantasmi del mio passato, con la paura tremenda che avevo di ascoltarmi, di legarmi, col terrore folle di poter essere abbandonato. A me sono bastati due anni per riuscire a sentire, N. invece, che ha sentito per una vita,  ha lasciato che 3 o 4, non riesce a ricordarlo con precisione, si permettessero di levargli anche l’udito.

Prima di tornare alla mia famiglia N. mi diede un pacchettino, c’erano dentro i suoi cd, ne aveva composti otto e l’ultimo risaliva a 4 anni addietro. Da lì dedussi che gli anni trascorsi erano 4. Quando raggiunsi il piano inferiore una donna mi raggiunse di fretta: – Mi scusi, cercava N. per caso? – io annuii e lei continuò – Prego si accomodi, torno adesso dal lavoro – quando le spiegai che ero già stato da lui e che avevamo parlato, lei ebbe un moto di sbigottimento, mi invitò a seguirla e salì in fretta le scale, poi aprì la porta ed N. era lì, sul divano, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato – Come ha fatto ad aprire la porta? – mi chiese lei – Beh, N. mi ha chiamato, ho suonato il campanello e mi ha aperto. – la donna non riusciva a trattenere la sua agitazione – ma cosa sta dicendo, N. è in stato catatonico da 1 anno ormai, sono io che mi prendo cura di lui… vede, ho avuto un incidente diversi anni fa, ho perso la memoria… – la stavo ad ascoltare e mi sembrava di essere finito in una di quelle storie surreali di Neil Gaiman. Mi ripresi dal torpore nel quale ero caduto e la interruppi – Signora, N. mi ha raccontato questa storia pochi minuti prima che lei arrivasse , io non so… non capisco… – entrambi ci fermammo a guardarlo, era sempre lì, con gli occhi vuoti ed inespressivi. Provai pietà per lui, era l’amore della sua vita che gli stava accanto e non poteva godersi la gioia che aveva tanto desiderato. Col cuore pieno di tristezza dissi alla donna che poteva chiamarmi in qualsiasi momento, le lasciai il biglietto da visita e lasciai che mi accompagnasse alla porta.

Quella sera strinsi mia moglie al petto più del solito e le raccontai di quella triste storia, mi sentivo fortunato, e sentivo di amarla ancora di più, lei non aveva mollato, aveva creduto in me. Poi abbracciai mio figlio che dormiva già, andai nel salone e misi uno dei cd di N. nel lettore. Lo ascoltai per tutta la notte, e piansi, piansi perchè N. aveva un gran cuore.

EPILOGO
Quando N. restò solo nella stanza, una luce attraversò i suoi occhi ed al contempo un pensiero ne illuminò la mente: riuscirò amore mio a sentire ancora, un giorno riuscirò a farlo di nuovo, e quel giorno ci sposeremo e avremo dei figli, e vivremo felici, per sempre.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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