La mutazione di Perduta

3 Gennaio 2008
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7 minuti di lettura

cover: naturabendata (2005) di JapiHonoo

[…] forse possiamo davvero rifarci la vita e non limitarci a continuarla […]
Guillaume Musso

Sono 3 giorni che la pioggia continua il suo incessante pianto sulla terra ed il muschio del bosco è così zuppo d’acqua d’avere reso i miei piedi del freddo colore della neve. Per grazia della foresta, nei pressi del lago ove ho incontrato la mia dolce “Perduta”, una grande betulla dalla corteccia bianca come il latte offre al mio corpo un sicuro riparo dalle piogge, dando al mio fuoco la possibilità di ardere e riscaldare i miei piedi sofferenti. Non mi sono più allontanato da qui, il perpetuo camminare mi manca e seppur inizialmente mi sia sentito pervaso da un’energia vitale senza precedenti, adesso avverto quel vuoto che, in un tempo oramai dimenticato, mi aveva spinto su quel sicuro sentiero. Sono passati molti giorni da quando “Perduta” ha circondato il suo viso col lenzuolo di delicata seta donatole dallo gnomo Nisse la vigilia del Julaften. Nisse si vantava continuamente del fatto che avesse ereditato il prezioso tessuto da uno dei suoi antenati che a loro volta lo avevano ricevuto da una imperatrice di nome Xi Ling Shi[1]. “Perduta” lo aveva indossato ancor prima che il Julaften fosse completato. Vedere il suo corpo nudo ammantarsi con la pregiata veste, generò in me l’antico istinto di stringerla tra le braccia, anche solo per un istante, per poter sentire l’odore della sua pelle bianca. Il mio slancio, però,  si pietrificò a pochi passi da lei, costringendomi a guardarla compiere un semplice gesto che mi fece avvertire ancora una volta il peso di una distanza incolmabile: quel velo non l’avrebbe solo riparata dal freddo, con esso ella si coprì anche il viso come ad ergere l’ennesima barriera tra sé stessa e il mondo intorno.

Lasciate però che vi racconti tutto dall’inizio. La vigilia del Julaften ho bussato alle porte degli alberi perché si facesse una grande festa per onorare i valori della famiglia, dell’amicizia e dell’amore e gli alberi hanno risposto chiamando a raccolta gli gnomi e le ninfe dei boschi. Nisse fu il primo ad arrivare; dal primo giorno in cui ci siamo incontrati ed abbiamo condiviso il mio piatto caldo di porridge[2], sembra che mi conservi una gratitudine infinita, per diversi anni abbiamo seguito insieme il sentiero del perpetuo camminare ed è stato grazie a lui che ho imparato a parlare con gli alberi e ad aprire le porte sul passato, anche se la sua natura lo ha portato a tornare alle fattorie per fare da custode agli animali e a mangiare i sand kager[3] che i contadini gli lasciavano sulla soglia della porta come ringraziamento. Tutte le volte che ho manifestato agli alberi il mio bisogno di avere buona compagnia, Nisse è sempre corso da me. Credo che le distanze per il piccolo popolo siano un problema di poco conto.

Poco dopo l’arrivo di Nisse giunsero in gran numero le Driadi[4], erano le sole ninfe a potersi separare dagli alberi ed assumere forma umana, fatta eccezione per la parte inferiore del corpo, arabescata come un tronco d’albero. Bellissime, con capelli biondi che cadevano lunghi dietro le bianche spalle, si avvicinarono a me e si presentarono: Astrid, Ane, Aslaug, Grethe, Kaja. Gentili e premurose, raccontarono a me e a “Perduta” la loro storia. Esse erano lo spirito degli alberi e per questo protette dai sacerdoti che, instillando un atavico timore, impedivano ai boscaioli di abbattere i colossi del bosco, minacciando gravi ripercussioni su chi avesse osato offendere la sacralità di quegli esseri. Molte di loro erano però oramai costrette a vagare senza meta poiché gli uomini avevano smarrito la fede; i loro bisogni materiali superavano di gran lunga quelli spirituali e così essi abbattevano alberi incuranti del fatto che fossero abitati, uccidendo le Amadriadi che, al contrario delle Driadi, morivano insieme all’arbusto. I racconti sul loro passato occuparono però ben poco del tempo che le Driadi ci dedicarono. Ritenendo che la vigilia del Julaften non avrebbe dovuto essere turbata da alcuna storia triste, esse preferivano di gran lunga danzare al ritmo della meravigliosa musica che proveniva dalla lira suonata in maniera eccellente da Nisse. E così trascorse gioiosa buona parte della mattinata.

“Perduta” non si allontanava mai dal suo giaciglio, ascoltava da lontano e di tanto in tanto sorrideva, di un sorriso triste come il suo sguardo che mi riempiva di inquietudine. A volte, quasi timoroso, mi avvicinavo per chiederle come si sentisse, ma ella sembrava non voler parlare di sé. Mi fissava con occhi dolcissimi e con un filo di voce, accarezzandomi il viso, continuava a ripetermi che persona splendida fossi. D’improvviso, sfuggendo a qualsiasi umana percezione, sembrava perdersi nei suoi pensieri e chiedeva incessantemente, forse a sé stessa o a un Dio che non la ascoltava, quale fosse l’arcana ragione per cui avesse dovuto fuggire il calore della sua casa e dei suoi affetti per scegliere il freddo ghiaccio delle Svalbard. La frase che ella ripeteva all’infinito aprì uno squarcio nella mia coscienza e parve disvelarmi all’improvviso il senso di cose che, fino ad allora, non ero stato in grado di comprendere: “perché ho dovuto allontanarmi  dal tuo calore e preferire il freddo ghiaccio?”. Avevo sempre creduto che ella avesse voluto, e non dovuto, allontanarsi da me e che anche il ghiaccio delle Svalbard potesse offrirle molto più calore del mio fuocherello improvvisato. In quel momento compresi come qualcosa in lei stesse cambiando: una nuova consapevolezza si accendeva nel suo cuore ed ella non parlava più, ma pensava ed i pensieri erano come un fluire inarrestabile e incontrollato da cui si lasciava travolgere, vittima e artefice al contempo di quel suo nuovo, inesorabile, divenire. Così, quando la presentai a Nisse ed egli asserì che il mio teppe non era adeguato alla sua bellezza, porgendole il prezioso lenzuolo di seta, ella lo ringraziò e subito se lo avvolse intorno al corpo, coprendo con esso anche ogni centimetro del suo bellissimo viso.

Fu da quel momento che cominciai ad andare da lei solo quando mi chiamava. Quel velo mi appariva come il vessillo di una scelta radicata, profonda, che per quanto non riuscissi a coglierne la ragione, mi incuteva un amorevole rispetto. Ella cercò di spiegarmi come ritenesse giusto celare alla sua vista il mio mondo perché voleva essere in grado di completare da sola il processo che l’avrebbe riportata a ricordare il calore del mio fuoco, attribuendo ad ogni sensazione, ad ogni emozione, il suo autentico significato. Quando vediamo intorno a noi qualcosa di bello siamo portati a innamorarcene nel senso più puro del termine. E’ facile amare il sole o un tramonto, così come è facile amare chi ci ama, ma se qualcosa ti ha tolto la capacità di discernere, di sentire con l’anima, non sarai mai in grado di comprendere davvero se le tue pulsioni sono autentiche o non sono semplicemente la proiezione dei tuoi desideri e del mondo che ti stai costruendo intorno con arte sapiente e perfetta. Questo era ciò che mi diceva: non voleva più confondere un sogno con la vera vita, voleva vivere avendo coscienza di sé, quella stessa che aveva perduto il giorno che le avevano rubato il cuore. Più volte nel corso delle nostre lunghe conversazioni ella si rivolse a me chiamandomi con un nome che non riuscivo ad afferrare, da sotto il lenzuolo le sue labbra producevano un suono che confondeva il senso di ogni lettera, seppur tutte le altre frasi e parole fossero perfettamente intellegibili.

Prima che il pomeriggio fosse invaso dal freddo vento della sera, il suo corpo subì una strana mutazione: dapprima smagrì a vista d’occhio, poi le sue gambe iniziarono a ricoprirsi di corteccia, ed infine sopra la corteccia cominciò a crescere del muschio. Confuso, inghiottito in un vortice di allucinazioni da cui non riuscivo a venir fuori, rivolsi lo sguardo a Grethe come in una silenziosa e disperata supplica, affinché lei mi spiegasse il senso di ciò che avveniva così vicino a me, eppure al di fuori da ogni mio controllo. Ricambiando amorevolmente il mio sguardo, ella mi disse che anche “Perduta” apparteneva alla specie delle Driadi, ma che da piccola era stata strappata al suo albero e di questo non aveva memoria. E piangeva Grethe, perché una sua sorella aveva riscoperto la propria natura ed il suo albero stava crescendo per lei ancora una volta: un evento il cui ricordo sarebbe stato tramandato per i secoli a venire. In poche ore “Perduta” mutò in una splendida quercia millenaria, forte e sicura, imponente e rassicurante per tutti noi che potevamo osservarla con estasiata meraviglia. Solo Nisse ebbe il coraggio di lamentarsi per la perdita del suo prezioso regalo oramai assorbito dall’albero.

Quando mi destai dallo stato quasi ipnotico in cui versavo, una profonda sensazione di tristezza si impossessò di ogni piega della mia anima e sentii salire al cuore una solitudine infinita; mi strinsi tra le braccia di Grethe e piansi disperatamente tutte le lacrime che non pensavo di avere. – Non affligerti per la tua amata, mia tenera creatura sospesa, sii felice per lei perché ha finalmente abbandonato quella triste condizione nella quale tu ancora ti trovi. Lei ha ricordato il suo vero nome e adesso è tempo che tu ricordi il tuo -. Queste furono le parole di Grethe, parole che suonavano di consolazione e disperazione al tempo stesso, perché a volte la felicità di chi amiamo scorre su una strada che non ci è dato percorrere.

Il Julaften passò, e così i giorni a venire. Ed io ho scoperto in Grethe la migliore amica che avessi mai potuto incontrare, mentre Nisse viene ogni sera a farmi i dispetti per allontanare la malinconia dal mio cuore.

“Perduta”, invece, non getta più stelle di stoffa nei buchi neri, non cerca più freddi giacigli ove indurire il suo cuore. Adesso è tra voi, amici della dimensione numerica. Ve la affido, affinché possiate vegliare sulla sua esistenza, anche se io non smetterò mai di aver cura di lei.


[1]Vissuta nel XXVIII secolo a.C., viene onorata come “Signora dei bachi da seta” perché, secondo una leggenda, mente si accertava dei danni subiti dai gelsi dell’imperatore, scoprì per prima fra i mortali che il baco produceva la seta, e diffuse il segreto fra il suo popolo, dando vita all’arte della sericoltura.

[2] Il Porridge è un semplice piatto preparato facendo bollire l’avena in acqua, latte o entrambi. Tra le varietà più comuni c’è anche il porridge fatto di semolino bollito. Fra gli altri tipi ci sono quelli con riso, frumento, piselli, orzo e farina di mais.

[3] Un dolce prelibato per le feste è il “Sand Kager”, che viene preparato mescolando insieme 2 tazze di latte e due di zucchero, 4 tazze di farina e una di mandorle tritate. L’impasto viene pressato in un barattolo, fatto indorare in forno e ritagliato a quadretti.

[4] Le driadi e le amadriadi sono figure della mitologia greca.

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(da Linea di confine, una favola d’amore. Di Nicola Randone con il contributo di Emanuela Fragalà)

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

2 Comments

  1. ciao moon, grazie del tuo commento… è vero, ogni cambiamento porta con sè del dolore, forse è il nostro cuore che ci chiede di restare coerenti, o forse è la mente che teme un domani incerto… un abbraccio

  2. è bella e triste questa storia, in fondo qualsiasi cambiamento porta con sé del dolore, qualsiasi metamorfosi, qualsiasi crescita o mutazione. questa è una verità dell’esistenza anche se narrata in un contesto fiabesco.
    ciao
    complimenti per l’immagine. ho visto che hai messo anche il link dell’artista.

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