Cristina

8 Novembre 2002
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La prima volta che la vidi era triste, triste come un cucciolo abbandonato dal suo padrone al margine della strada. La accompagnava un tizio alto dalla carnagione scura, la osservavo e notavo che mi scrutava come se volesse impormi il suo modo d’essere precludendomi da qualsiasi tipo di giudizio, ed era davvero difficile formulare un giudizio quando quei suoi occhi azzurri puntavano verso i tuoi. Cristina era il suo nome, e fu così dolce sentirlo pronunziare da lei quando si presentò, che me ne invaghii subito, e di nessuna mi premette di più che di lei fino ad oggi che non c’è più.

Il sole si era già chiuso all’orizzonte del mare infuocando la parte bassa del cielo ed io e lei, da soli, accovacciati su uno scoglio, osservavamo il tramonto e intorno a noi i gabbiani volavano a pelo d’acqua in cerca di prede da gustare. D’un tratto lei disse: – Sono scappata di casa due mesi fa, le cose in famiglia non sono andate molto bene e ho deciso di farlo, ma non me ne pento. –

Io la stetti a guardare poi emisi un sospiro e feci per dirle qualcosa, ma subito tacqui.

Lei continuò: – Mia sorella è stata sposata con uno stronzo che la picchiava a sangue e da quando l’ha mollato mia madre ha fatto di tutto per non averla di nuovo a casa, e mia madre è una brava cristiana – le sue labbra si contrassero in una smorfia – Non ce l’ho fatta ad abbandonarla, ho dovuto seguirla. Il suo ex marito le passa qualcosa ogni tanto, ma non mangio granché bene ultimamente. –

Ancora cercavo di capire perché tutto in una volta mi stesse parlando così, in principio pensai che mi stesse chiedendo aiuto e le dissi se potevo fare qualcosa per lei.

– Ecco, – disse, – lo sapevo, non ci si può neanche confidare con qualcuno che subito si viene presi per opportunisti. –

Palesemente imbarazzato cercai di scusarmi piuttosto goffamente ma lei continuava ancora ad accusarmi ed io non riuscivo più a nascondere il mio imbarazzo con la buona dose d’ironia che spesso ha fatto da ingrediente ai rapporti verbali che ho instaurato coi miei simili, fortunatamente ha abbandonato l’argomento piuttosto velocemente e solo allora per spezzare il silenzio imbarazzante che si era creato ho avuto il coraggio di chiederle scusa; parlo di coraggio perché con le scuse si ammette sempre una colpa, e ammettere di aver pensato che Cristina fosse un’opportunista creò un’atmosfera piuttosto imbarazzante. Fortunatamente qualche minuto dopo ebbi la bella idea di tirar fuori dalla tasca quel poco di marijuana che mi era rimasta, lei sembrò dimenticare tutto e, con gli occhi che luccicavano, mi abbracciò baciandomi sulla guancia.

Si era distesa sulla stuoia e aveva già chiuso gli occhi quando potei guardarla meglio, il suo viso era così dolce che mi venne improvvisamente la voglia di coprirlo di baci, mi sdraiai accanto a lei e cominciai a carezzarle i capelli. Improvvisamente capii che ne ero innamorato e glielo dissi, anzi le dissi semplicemente che mi piaceva, poi scoppiai a ridere: la marijuana era già salita. Lei si alzò tornando a sedere, mi fisso per un attimo e poi mi disse: – Che ne dici di fare un bagno. –

Io, che nel frattempo avevo assunto una espressione vagamente stupida, la stetti a guardare per un po’ prima di accettare, forse speravo che mi dicesse qualcosa a riguardo della mia dichiarazione. Ben presto ci ritrovammo in maglietta e mutande in mezzo all’acqua gelida, preda delle onde che, ogni volta che si abbattevano su di noi, mi lasciavano a tremare per il freddo. Solo quando strinsi la sua mano non mi importò più del freddo e così proseguimmo fino a che l’acqua non mi raggiunse il collo, in quell’attimo presi coraggio e mi voltai verso di lei per stringerla forte a me. Lei rise imbarazzata ma ricambiò in pieno il mio abbraccio accoccolando il capo sulle mie spalle, – Scommetto che hai freddo – , le dissi, – Lascia che ti stringa forte -, lei non rispose e restammo stretti l’uno all’altro fin quando non realizzammo che da lì a breve tempo avremmo preso un forte raffreddore se fossimo rimasti in acqua, giacché non curarsi del freddo non stava a significare certo che questo avrebbe disdegnato di entrarci fin dentro le ossa. Quando tornammo sullo scoglio ci avvolgemmo subito nel grande telo da bagno raggomitolandoci il più possibile, sentivo il calore delle sue gambe che premevano contro le mie e il desiderio di fare all’amore con lei non mi abbandonò per tutto il tempo che restammo sullo scoglio. Quella fu una notte meravigliosa, dopo il bagno stettimo entrambi in silenzio ascoltando solo le parole dei nostri corpi che si beavano di quel contatto, poi, non appena mi asciugai, tirai fuori la chitarra dal fodero e decisi di comporre una canzone dedicata a quella serata, buttai giù un motivetto beat e improvvisai il testo.

Mentre cantavo la guardavo, lei guardava me e non distoglieva mai lo sguardo dai miei occhi pieni di dolcezza e di fantasie, in quel momento non mi curavo di nulla, tutto il mio passato non contava e per la prima volta non mi preoccupavo nemmeno del futuro, per la prima volta non pensavo a quel momento come qualcosa che sarebbe passato lasciando solo il vuoto di un ricordo opaco logorato dal tempo.

Presto l’alba ci avvolse col suo chiarore, non mi parve vero che la notte fosse passata così velocemente e con una punta di tristezza fui costretto ad accettare che ero ancora vittima del tempo; Cristina sembrava essersi svegliata appena, a dire la verità non saprei dire se anch’io non mi fossi appisolato fra le sue braccia, è certo comunque che le ore erano passate troppo in fretta. Ci liberammo ben presto del telo da bagno, per un attimo scorsi il suo seno ma non avevo bisogno di guardarlo, conoscevo già le sue forme dal contatto con il mio corpo, tuttavia non riuscivo ancora a liberarmi del desiderio di averla e, prima che potesse indossare la maglietta, le presi il viso e avvicinai le mie labbra alle sue. La baciai per una buona dose di minuti e contemporaneamente lasciai che le mie mani le accarezzassero tutto il corpo, poi le strinsi le mani e le dissi di amarla, le chiesi se stavamo insieme. Lei fece una risatina ma non rispose, disse: – Adesso andiamo a casa, Marika sarà preoccupata. –

La sua maglietta era ancora bagnata e le diedi la mia camicia, e ancora una volta vidi il suo seno, e capii che ero innamorato anche del suo seno.

L’estate era finita e molti amici si preparavano per tornare nelle loro case invernali, fra questi c’era anche Massimo, un romano che amava trascorrere l’estate in sicilia. Massimo aveva organizzato una bella festicciola a casa sua per la dipartita promettendo a tutti sesso, droga e rock ‘n roll. La festa cominciò alle tre del pomeriggio e tutti eravamo già lì quando Massimo aprì gli sportelli della sua credenza per abbagliarci con le etichette di ogni tipo di alcolico presente sul mercato, poi disse: – Allora signori, per gli amanti dello sballo selvaggio il magnifico gin secco è quello che per voi, se volete invece surgere il nettare di Bacco l’etichetta di questo vino parla da sola, poi, giusto per non lasciare solo all’alcool il dominio del nostro corpo, ecco qua! –

E dalle mani, come per magia, sollevò in alto due sacchettini, uno bello pieno di maria e l’altro con dell’hashish.

– Et voilà – continuò – si aprano le danze -. Tutti applaudimmo fragorosamente per poi buttarci sulla credenza a tirar fuori le bottiglie promesse. Io bevvi mezzo litro di vino nel giro di qualche minuto e stavo prodigandomi nella realizzazione di un sano cannello da unire al sacro nettare, prima di iniziare a cremare il fumo diedi uno sguardo intorno scorgendo Marika, la chiamai e le chiesi dov’era Cristina. Marika mi si avvicinò guardandomi dritto negli occhi e mi disse: – Ti farà soffrire, lasciala perdere -.

– Si, va beh – le dissi io – sai dov’è? -.

– E’ uscita prima di cena con una persona che non credo ti piaccia, se vuoi posso dirti cosa è andata a fare?! –

Ero confuso, cosa poteva andare a fare di così terribile che potesse giustificare il tono di Marika, con Marika ci conoscevamo sin dai tempi delle scuole medie, eravamo compagni di scuola, certo la loro famiglia non era esattamente una famiglia serena, ricordo che i suoi avevano passato un brutto periodo e le figlie avevano colto la palla al balzo per darsi alla pazza gioia, Marika ci aveva guadagnato due gemelli e un marito che, a quanto mi aveva detto Cristina, la picchiava a sangue, e Cristina… Cristina cosa ci aveva guadagnato?!

Marika interruppe i miei pensieri con una frase che mi lasciò a bocca aperta: – Cristina si buca, e non voglio dirti cosa fa per procurarsi la roba -.

– Stai scherzando? – le chiesi meravigliato – E poi? Anche se fosse, tu non fai niente? Sei la sorella maggiore dovresti preoccuparti di lei?! –

Il mio tono si era alzato, del resto l’alcool non mi permetteva di nascondere alcunché, Marika mi rispose seccata: – Cosa vuoi che faccia, che le dica di non uscire quando viene quel bastardo… ci ho provato e quello che mi sento rispondere è sempre lo stesso… non rompere, una madre ce l’ho già, io faccio quello che cazzo mi pare… e altre delizie simili. Provaci tu e vedrai che ti risponderà allo stesso modo.” Si interruppe, forse per riprendere il controllo di sé. Dopo qualche secondo continuò: – Quando i miei avevano problemi io e Cristina uscivamo sempre insieme, il mio ex marito ha degli amici piuttosto poco raccomandabili, del resto anche lui è poco raccomandabile, ma io avevo 19 anni, Cristina invece era ancora un’adolescente e quando i suoi amici si facevano le pere davanti a noi, Cristina li guardava incuriosita e affascinata e ben presto cominciò a passarseli uno per uno, tutto questo fin quando mia madre non gli ha sgamato le punture sul braccio e non l’ha mandata al centro di disintossicazione. Cristina è troppo convinta che i miei non hanno alcun potere e in automatico considera tutto quello che gli impongono sbagliato, io purtroppo non ho potuto starle dietro con tutti i casini che avevo in casa e adesso, adesso si è fatta sbattere fuori anche lei –

Non sapevo cosa dire, Cristina mi aveva raccontato un mucchio di balle, ad eccezione delle cose che mi aveva detto sulla sorella, tutto il resto era una solenne bugia. Non era andata via di casa per solidarietà con la sorella, lo aveva fatto per poter tornare a bucarsi tranquillamente. Ero esterrefatto ed ero ancora innamorato. Lasciai il fumo sbriciolato sul tavolo affidandolo a Marika e corsi fuori non sapendo neanch’io per cosa. Andai in strada e guardai verso il mare, subito rievocai la notte prima e sentii salire dentro me la preoccupazione di perderla. Presi la macchina con l’intenzione di andarla a cercare e così feci, girai per ore ma poteva essere ovunque, così, quando riacquistai la lucidità, preferii ritornare da Massimo e aspettarla lì.

Dovetti stare una o due ore ad aspettare, poi Cristina si fece viva con quell’altro tizio che era anche una faccia conosciuta nell’ambiente dei tossici qui in città.

Cristina aveva una strana espressione in viso, gli occhi le uscivano fuori dalle orbite, gli luccicavano come neon ed erano rossi. Mi avvicinai a lei e la salutai, lei si chinò verso di me e mi baciò sul collo ripetutamente, o almeno finché non la allontanai io per cercare di capire in che stato versava. Le presi le spalle e le dissi cosa aveva preso, lo dissi forte, qualcuno lo sentì e si girò verso di noi. Ma Cristina era sempre indifferente alle mie domande e anche agli sguardi, mi sorrideva, mi diceva se ero già fuori e ancora che quella sera si stava divertendo. Le chiesi di andar fuori e lei acconsentì prendendomi per mano e trascinandomi verso il cortiletto, le presi il braccio e glielo girai, era pieno di puntini rossi, non era certo una novellina.

Non volevo crederci o forse non potevo, fra i fumi dell’alcool immaginavo qualsiasi cosa che potesse scagionarla del tipo: forse è una donatrice di sangue molto accanita. In ogni caso non riuscivo a trattenermi dal parlarle e le dissi: Credevo che fossimo amici, ehm in realtà credevo più che amici, comunque… – e mi fermai un attimo per poi riprendere così – mi hai raccontato un mucchio di balle! –

E Cristina con aria sognante che mi diceva: – Ma cosa dici? Stai scherzando… bello scherzare – e poi scoppiava a ridere. Poi diventò improvvisamente seria: – Sono fatta così, cosa vuoi che ti dica, che sono innamorata perdutamente di te. Marika te l’ha detto, lo so, le ho detto io di dirtelo. Non amo nessuno io, mi piace andare con chiunque – si chinò su di me, mi fece un bel lividone viola sul collo e poi tornò dentro.

Il momento era piuttosto critico, e di certo il litro di vino che avevo in corpo in concerto con il discreto quantitativo di THC che mi ronzava nel cervello non contribuivano a rendere la situazione meno spiacevole di quanto già non fosse. Volsi lo sguardo al cielo punteggiato di stelle luccicanti, poi puntai verso casa ma, poco prima che raggiungessi l’uscio, fui colto da uno sbalzo d’umore inspiegabile, d’un tratto tutto l’ambiente mi girava intorno in un caleidoscopio di sensazioni angoscianti, mi sentii uno stupido drogato senza coscienza e vidi tutti gli altri come miei pari nella stupidità, mi sentii come se non fossi mai appartenuto a quel mondo, a quella gente, non capivo cosa ci facevo ancora in quel posto. Tornai indietro, contemporaneamente gli occhi mi si riempirono di lacrime, mi trattenevo dal gridare per paura che qualcuno mi potesse sentire, avevo sempre avuto paura di esternare sensazioni molto forti. Salii lungo lo scivolo che portava al cancello ed imboccai la strada. Non appena raggiunsi la macchina mi sentii chiamare, erano Claudio e Gianni appena tornati da una passeggiata, beh, forse erano gli unici che potevano aiutarmi. Non ero comunque nelle condizioni mentali per approvare un colloquio con altri esseri umani, feci finta di non sentirli, misi in moto e tornai a casa, dallo specchietto retrovisore osservavo i due amici che mi seguivano con lo sguardo, immobili davanti al cancelletto della casa .

Raggiunsi casa molto presto, arrivai poco prima che partisse l’irrigazione del giardino, stetti sul divanetto della veranda a godermi quella mezzora scarsa seguendo con gli occhi il percorso dell’acqua, poi entrai in casa sperando che il sonno potesse soccorrermi in quel giorno nefasto. Mi spogliai in fretta infilandomi sotto le lenzuola fredde del mio letto, fortunatamente i miei genitori si erano già trasferiti in città e potei prodigarmi senza freno in singhiozzi e lamentele varie, tutto questo fin quando, dopo un’ora scarsa, non suonò il campanello della porta. Mi alzai incuriosito e aprii le imposte delle persianine per vedere chi potesse essere a quell’ora. Al vedere Cristina dietro il cancelletto il cuore mi balzò in gola, non so se in quel momento potevo contare appieno sulle mie funzioni raziocinanti, fatto sta che le aprii immediatamente accogliendola in mutande e maglietta davanti alla porta.

– Beh! – le dissi – Se vuoi accomodarti… io stavo appena andando a letto –

– Già – rispose lei – si vede dagli occhi e dal tono della voce… se vuoi torno a casa. Sai, la festa è diventata un mortorio e, non vedendoti più, ecco, ho pensato di venire a vedere se eri in casa –

– E ti sei accorta solo ora che mancavo? – le chiesi un po’ innervosito

– Beh! – rispose lei confusamente – Onestamente… si! Sai com’è, quando sei sballata puoi passare ore davanti ad un fiore senza stancarti mai di guardarlo –

– Questo succede solitamente quando prendi roba più forte, e i tuoi occhi non sembrano quelli di chi ha fumato un po’ di erba o bevuto… hai preso un trip? –

– Già! Ma è un trip leggero, un super Simpson… – la voce le tremava – perché, che c’è di male, anche tu hai calato qualche trip o sbaglio?! –

– Sbagli! Comunque… lasciamo perdere. Entra, se no prendiamo freddo tutti e due –

Lasciai che entrasse, poi chiusi la porta e il doppio infisso

– Ti va un caffè? –

– Si grazie. –

Si sedette al tavolo ma subito dopo si rialzò cominciando ad andare in lungo e in largo per la stanza. Io lo notai e le chiesi se le andava di fare un giro. A questa domanda rispose: – No grazie, mi andrebbe di dormire adesso, con te possibilmente –

So che potrebbe sembrare una trovata da romanzetto di serie B ma, al sentire quelle parole, la caffettiera mi scappò di mano cadendo sul pavimento con fracasso. Ci fu un attimo di silenzio, io ero come immobilizzato, lei mi si avvicinò, poi mi strinse in un abbraccio sincero carezzandomi lungo tutto il corpo, in breve tempo ci ritrovammo sul divanetto a fare l’amore, avevo voglia di piangere quando le guardavo gli occhi, mi sembrava un animale, era scatenata e incontentabile, speravo che nessuno dei vicini potesse sentire i suoi versi, gridava come una ninfomane. Dopo quasi un’ora ero decisamente esausta, non appena raggiungevo l’orgasmo lei voleva ricominciare daccapo, capii che dovevo fermarmi, le dissi scherzosamente che mi sarebbe venuto un attacco di cuore se avessi continuato e lei senza dire una parola così come si era spogliata si rivestì. Poi disse: – E’ stato bello -, mi baciò sulle labbra ed uscì dalla porta, lasciandomi con una faccia da stoccafisso davanti all’uscio, nudo come un verme.

Già albeggiava quando decisi di tornare a dormire, o meglio quando mi ripresi dallo sbigottimento optando per un sano riposo fisico e mentale. Certo tutte le vicende di quella sera non erano state senza conseguenze, ricordo che da un primo momento di gioia sfrenata passai alla depressione più totale, tutto questo naturalmente a discapito delle ore di sonno che avrebbero dovuto servirmi ad essere vigile e scattante per la giornata che già era cominciata.

Mi alzai verso mezzogiorno ma era come se non avessi dormito neanche un’ora, per tutta la mattina sognai Cristina, la sognai accanto a me ed ancora, al risveglio, provavo quella felicità che mi aveva donato l’esperienza onirica dalla quale ero appena uscito. Mi vestii in fretta gettandomi in macchina, in qualche minuto raggiunsi casa sua. Mi accolse Marika che mi lasciò entrare in casa. – Cristina? – le chiesi. – Ma non era con te?! – rispose Marika con aria stanca. – Lo è stata, è andata via questa mattina -. Mi sedetti portandomi le mani ai capelli, poi dissi – Lo sapevo, non dovevo lasciarla andare –

Marika mi si avvicinò e con un tono dolce mi disse – Non puoi fare niente con mia sorella, puoi solo accettarla così com’è se proprio devi amarla, lei è libera e si sente tale, se le imponi qualcosa te la fai nemica. Ascoltami, ti voglio bene, sei mio amico, lasciala perdere!-. A sentire Marika che parlava in quel modo mi si strinse il cuore, era sua sorella maledizione, non poteva parlarne così male. Cosa significava accettarla, cosa significava libera, diavolo, non era un computer programmato per svolgere solo determinate operazioni ed incapace di aggiornarsi, era una persona, e l’amore salva le persone, almeno credo. Avevo capito improvvisamente cosa dovevo fare, dovevo amarla, solo questo, e così lei sarebbe cambiata.

Ma non era così semplice come credevo, mi bastò vederla altre 4 o 5 volte in condizioni peggiori di quella sera per capire che Cristina poteva solo farmi soffrire, alla fine tornai in città. Il giorno in cui decisi di trasferirmi non andai neppure a salutarla, avrebbe trascorso insieme a sua sorella tutto il mese di Ottobre a mare per via del fatto che la casa era stata affittata dal marito di Marika fino a quella data, comunque entrambe non avevano altro posto dove stare se non in quella casa.

Una volta in città mi buttai nel lavoro, cercavo di non pensare a lei e intanto le scrivevo delle canzoni, le dedicavo delle poesie e la sognavo ogni sera. Compresi che non poteva finire così, dovevo chiudere in qualche modo la nostra storia, o forse in qualche modo volevo riaprirla.

Non so né quando né come accadde, ricordo solo di essermi ritrovato a dormire su di un soppalco a circa 4mt d’altezza da terra. Ancora più vivo il ricordo della sensazione che provai quando fui colto, nel vedere Mars e Paolo che riposavano nei letti in basso, dalla spiacevole sensazione che si prova quando si ammirano figure umane da postazioni più alte, solo che io ero sballato perso e il mio equilibrio non era certo funzionale al suo scopo primario. Prima di lasciarmi soggiogare dai sensi di vertigine osservai la scala dalla quale avevo probabilmente raggiunto quel piccolo spazio occupato quasi interamente dal letto dove dovevo dormire, un tragitto che non ricordavo affatto, una scala che non avevo mai salito. In un solo attimo capii il motivo per il quale ero stato assegnato a quella specie di balconcino a picco sulla scrivania di Mars, senza protezione e con alte percentuali di cedimento; non potevo provare gelosia, non dovevo farlo, si deve essere gelosi di qualcosa o di qualcuno solo quando la si possiede, ma Stefania lo diceva: e anche stavolta dovrò prestarti una spalla sulla quale piangere. Già, è sempre stato così, ho sempre saputo che certe cose non si possono programmare, non potevo che sentirmi uno sciocco. E’ divertente, già a ripensarci è davvero divertente, una persona conosciuta appena era già il suo amante, un amico che avrebbe dovuto fare da comparsa ad una romantica serata ne era diventato il protagonista principale. Ah ah, ancora ci ripenso e mi sbellico dalle risa: sono sceso di gran corsa dalla scala di legno che, scricchiolando, ondeggiava ad ogni mio passo, per dirigermi verso il bagno a darmi una sistemata ai capelli, solo la “casualità” volle che il bagno fosse adiacente alla stanza dove Cristina "dormiva" con l’amico. Non seppi resistere alla tentazione, bussai alla loro porta e aspettai che mi permettessero di entrare, non avrei mai voluto trovarmi di fronte ai due che tubavano, avrei rischiato di incazzarmi come una bestia e svegliare tutto il vicinato. Forse non avevano fatto in tempo a ricomporsi completamente perché, quando entrai, i due erano stretti in un abbraccio decisamente affettuoso. In principio balbettai qualcosa a proposito della mia insonnia, poi chiesi delle sigarette che con molta gentilezza mi furono porte con un velato invito, comunicato dall’amico con una smorfia, a levarsi dai piedi. Beh, la parte del geloso l’avevo fatta, adesso mi toccava solo subire l’umiliazione di trovare la mia ragazza abbracciata con un amico di vecchia data. Entrai nella stanza una seconda volta alla ricerca delle chiavi della macchina, la cui utilità alle 2 di notte parve ad entrambi molto relativa, la terza infine trovai un motivo più plausibile: il radione dell’amico con dentro la mia cassetta dei Locanda delle fate. Dopo di che chiusi la porta dietro di me per la terza volta, giurai a me stesso che non avrei più disturbato e mi rinchiusi in cucina per allestirmi un giaciglio in fretta e furia, non sarei mai tornato sul soppalco per rischiare di restare puntellato dai compassi e tutti gli oggetti contundenti che stavano sulla scrivania di Mars. Una volta in cucina non sapevo se mettermi a piangere o rullarmi quel poco di maria che avevo ancora in tasca per sconvolgermi un po’, naturalmente optai per la seconda soluzione. Dopo circa un ora di completa incoscienza con gli occhi puntati verso la finestra aperta in attesa dell’alba fui distratto da uno strano rumore che dapprima mi incuriosì per poi costringermi ad andare su e giù per tutta la cucina a passi svelti e nervosi fregandomi le mani e con la mente sempre pronta ad evitare un collasso nervoso. La stanza della cucina, come quella del bagno, comunicava con quella dell’amico e neppure alzando il volume della radio potei coprire il cigolio delle molle del letto sul quale già visualizzavo i due che si adoperavano per completare l’amplesso a sorpresa. Ancora rievoco l’emozione, resa ancora più intensa da “maria”, che provai al sentire quel rumore. In un primo momento diminuii il volume della radio poi fui costretto ad alzarlo, non c’era un posto nella stanza in cui non udivo quel rumore terribile, decisi di prendere un po’ d’aria, mi sentivo mancare, ma dalla finestra si sentivano ancora i gemiti dei due amanti. Mi sentivo precipitare in un abisso di solitudine e di disperazione senza confini, la meravigliosa sensazione di felicità che da molti giorni ormai mi accompagnava e che io attribuivo alle mie conquiste in campo professionale, altro non era se non una conseguenza dell’innamoramento dovuta all’estasi dello stato nascente. Guardavo l’orologio che segnava ancora le 4 di notte, decisi di scrivere e da quel momento fino alle 6 del mattino non feci altro:

Il mio cuore vola sopra le mie montagne
e quel ruscello laggiù
mi pare che trascini anime di poveri disgraziati
anime che si confondono con vermi
vermi che si spacciano per anime
quando il cuore grida
che ha bisogno d’amore
l’amore, che cosa stupida
come vorrei non doverlo subire
come vorrei essere insensibile
in queste notti
quando
per troppo odio lo uccido
quando
torno a casa solo
solo con un cane che mi abbaia dietro
solo perché cerco un viso che non c’è
Sono sbagliato, lo so
e sovente vengo frainteso
e non voglio con questo dire
che qualcuno, è stupido
puzzo troppo, di paura
gelida, celata paura
se non puoi liberarmene
uccidimi, dio
prima che io uccida te
per sempre
E’ uno strazio, ogni sera
costringermi a servire
uno sporco gioco
d’amore e di passione
ma di solitudine
è morto mai qualcuno?

Si, ciao
La mia chitarra
giù nella vallata
suona da sé
un canto di digiuno

la poesia è spezzata
il morbo mi ha raggiunto
produco solo inezie adesso
vivo solo momenti balordi adesso

non sono mai stato tanto solo
come adesso, che muoio

Quando la luce del sole fece capolino dalla finestra decisi di uscire. In una ventina di minuti fui a Piazza Maggiore, mi sedetti sulla scalinata a riflettere su tutta quella folle giornata, ero stato assunto come programmatore presso la software house più importante di Bologna e avevo voluto che Cristina mi accompagnasse nel viaggio… dio, non riuscivo a pensare ad altro che a quelle maledette molle, ogni rumore sembrava cambiare la propria forma d’onda per trasformarsi poi nel maledetto cigolio, pensavo a Cristina, ci pensavo troppo. C’ero cascato come un asino, cercavo di fare dell’ironia immaginando la nuvoletta dei fumetti sopra la mia testa con dentro il simpatico ronzino, ma non riuscivo a darmi pace lo stesso, credevo di esser riuscito ad accettare Cristina nella sua reale essenza, credevo di aver eliminato ogni possibilità che avessi potuto innamorarmi di lei, ma l’amore gioca brutti scherzi, se cerchi di prenderlo per il culo lui fa lo stesso con te, ero innamorato da chissà quanto tempo e non lo sapevo neppure; certo, fin quando usciva con me non c’ero altro che io al centro della sua attenzione, e pertanto non c’era modo di sperimentare alcun altra esperienza. Per fortuna la mia straordinaria capacità di recupero rafforzata dalle mie passate delusioni mi permise di confinare tutti i pensieri relativi a quella notte nella sezione “Delusioni” locata in un angolo del mio cervello. Il campanile di una chiesa vicina rintoccò le otto del mattino ancor prima delle altre, – c’è sempre chi arriva prima – pensai, e sollevandomi con sforzo mi diressi verso casa. Willy era già alzato e mi guardava con aria curiosa, forse aveva già immaginato tutto, in fondo prima aveva visto Cristina con me. Mi limitai ad un sospiro e lui mi diede un’affettuosa pacca sulla spalla, da quel giorno io e Willy diventammo grandi amici.

Cristina e l’amico erano ancora a nanna, perfettamente svegli ma poco intenzionati ad alzarsi, poi l’amico se ne venne fuori con la frase – Che ne dici di andare a prendere i cornetti? -. Io risposi con un no deciso, tuttavia non potei evitare il solito sorriso di circostanza, ci sarebbe mancata solo la beffa, l’innamoratino geloso incazzato con chi gli aveva rubato la ragazza. Poi fu Cristina a parlare: – Uff, che bella dormita! – ed io – Davvero! Mi fa piacere – e poi nella mia testa – Vacca di una troia, scommetto che avrai fatto anche un bel sogno erotico – e sghignazzai.

Si alzò puntando i pugni indietro e mi fissò per un po’, io distolsi immediatamente lo sguardo fissando invece l’amico con un aria certamente meno amichevole di quella che gli mostravo solitamente, probabilmente il fedifrago non provava alcun rimorso perché con naturalezza e spontaneità mi disse: – Che c’è, hai dormito poco? -.

– Già – risposi io – ho quasi mezzora di sonno sulle spalle. – Me ne chiesero il perché ed io spiegai che l’ultima maria mi aveva schizzato al punto da procurarmi allucinazioni sonore che poi spiegai meglio col termine – strani cigolii -.

Non credo di esser stato mai tanto ipocrita se non nei minuti che seguirono, mi offrii persino di prendere i cornetti dopo aver prima pronunciato tre no consecutivi. Poi dissi a Cristina – Il treno, dobbiamo prendere il treno fra tre quarti d’ora -, e Cristina ridendo – Certo certo, il tempo di alzarmi -. Certo i due non sembravano molto intenzionati ad alzarsi, forse progettavano un replay nei prossimi dieci minuti e francamente non me la sentii di rovinargli il divertimento, dissi ad entrambi che potevamo anche partire a mezzogiorno, inventai che dovevo passare dalla ditta per chiedere delle cose e li avvertii che sarei tornato verso le 12-1. Mi fiondai a casa di Stefania, mi accolse Mary con aria da bella addormentata, Stefania sognava ancora. Traballavo e avevo due borse sotto gli occhi che avrebbero impressionato persino uno zombie, Mary mi chiese cosa era successo ed io le raccontai per filo e per segno tutta la storia, quando anche Stefania seppe la storia entrambe mi venirono incontro per stringermi in un affettuoso abbraccio, poi la deliziosa coppia mise al bando l’amico che di tanto in tanto le andava a trovare a casa e ne spararono di tutti i colori oltre naturalmente agli sguardi silenziosi nello stile – te l’avevo detto -.

Quando alle 12:30 fui a casa dell’amico non vi trovai nessuno, mi toccò aspettare per circa mezzora prima di ricevere una telefonata al cellulare dell’amico stesso che mi avvertiva di andarli a prendere in una zona di Bologna che non conoscevo affatto, naturalmente mi rifiutai imponendo con una buona dose di grida l’ordine di tornare subito, prima che anche il treno dell’una e mezza partisse. Il messaggio fu sicuramente recepito come l’estremo atto di gelosia tanto che i due arrivarono circa quaranta minuti dopo; io ero al limite della sopportazione, avrei dovuto essere a Bari entro le 5 per un appuntamento importante e avevo perso l’ultimo treno che potesse portarmi alla mia città con puntualità. Quando discutemmo sulla puntualità mi sentii rispondere che avevo detto dalle 12 all’una e che quindi era lecito per loro farsi trovare all’una, anche se poi solo all’una e quaranta si erano degnati di raggiungermi. Spiegai dell’appuntamento e la cosa fu liquidata in fretta con il consiglio di telefonare per avvertire del ritardo o addirittura rinviarlo, solo in quell’attimo ho capito che avevo a che fare con uno studente universitario molto indietro con le materie e una ninfomane… quanta stupidità a sperare di salvare Cristina, e che termine obsoleto mi sembrava ormai SALVARE: “farla diventare come me”, forse questa era la vera motivazione. La telefonata comunque la feci ma purtroppo l’architetto al telefono non sarebbe stato più disponibile per via dell’imminente avvio del programma del quale avrei dovuto far parte. Dapprima i due ci rimasero un po’ male, poi scaricarono le colpe su di me per via della vaghezza con la quale gli avevo chiesto di aspettarmi in casa e insistendo ancora con la sciocchezza del limite massimo dell’una come orario dell’appuntamento.

Sul treno non parlai affatto con lei se non quando mi toccava rispondere alle sue domande che per la prima volta mi sembravano davvero stupide; fortunatamente il sonno che avevo perduto fu la scusa migliore per evitare qualsiasi dialogo, ho continuato a recitare la parte dell’amico come se me ne infischiassi di quello che era successo fin quando non mi congedai con la scusa del sonno. Per tutto il viaggio di ritorno dormii profondamente, all’arrivo in stazione lei mi svegliò, mi guardava con occhi interrogativi ma questa volta i miei non si fermarono sui suoi più del necessario, la accompagnai a casa con la macchina che avevo lasciato in stazione. – Ok… grazie di tutto, è stata una bella gita! – disse appena scesa dalla macchina. Andò via dopo avermi dato un bacetto sulle guance ed io, come ubriaco, stetti sotto casa sua per qualche minuto prima di andare via. Forse mi aspettavo che mi dicesse qualcosa o forse mi aspettavo semplicemente delle scuse. Non seppi più niente di lei per diversi mesi, ogni tanto mi capitava di incontrare sua sorella ed ogni volta che le chiedevo di lei Marika mi rispondeva – E chi la vede più! –

I giorni avevano cominciato a colorarsi delle solite luci di sempre, pian piano stavo riacquistando il mio equilibrio. Se non fosse stato per quel pizzico di malinconia che mi accompagnava di sera, quando uscivo con gli amici e non dicevo più una parola, mi sarei potuto dichiarare guarito. Un venerdì sera come tanti, dedicato alla sana sbronza in compagnia di amici chiassosi, la incontrai. Il cuore mi balzò in gola togliendomi il fiato, se solo avessi distolto lo sguardo dal lei qualche minuto prima avrei evitato di attirare il suo. Mi venne incontro lasciando un tale con i capelli lunghi e lo sguardo confuso, mi abbracciò e disse: “Quanto tempo! Volevo telefonarti ma, sai com’è, sono tornata con i miei e…”, si rivolse verso il ragazzo che sembrava non gradire molto il nostro incontro. Io mi limitai a ricambiare il saluto ma non osavo dire altro, il mio cervello non lavorava granché bene in quel momento nonostante fossi ancora completamente lucido. “Ci sentiamo?” mi domandò lei “Dove posso chiamarti” – disse sommessamente. “Beh! Dovresti ancora avere il mio numero di casa! Sai, a Bologna è andata male, ho avuto qualche problema ad ambientarmi e ho preferito tornare qua… ti lascio anche il mio numero d’ufficio”. Tirai fuori le “Smoking” e staccai un pezzo di cartoncino dalla confezione, poi tirai fuori la penna e le annotai il numero di telefono. – Mi faccio sentire io – disse, e tornò dal capellone. La seguii fin quando il mio sguardo non incontrò quello del suo ragazzo che, poveraccio, dall’espressione che aveva non doveva passarsela granché bene con Cristina. Tutta la sera non feci altro che pensare a lei, e questa volta non osai negare a me stesso di esserne ancora innamorato. Troppi pensieri si sono affollati contemporaneamente nella mia testa: bisognava scegliere se lanciarsi nell’avventura, che con ottime probabilità avrebbe avuto un esito disastroso, o lasciar perdere. Fortunatamente riuscii a liberarmi di tutte le domande e risposte che mi facevo in continuazione realizzando che, probabilmente, non mi avrebbe neppure telefonato. Purtroppo con l’amore non si scherza, lei non mi telefonò ma fui io a farlo: – Ciao Cristina… allora? Dovevi chiamare e… beh, ho pensato di chiamarti io per evitarti la spesa delle… – no, che diavolo stavo dicendole, figuriamoci se si preoccupava delle duecento lire della telefonata. Mi prese improvvisamente una voglia feroce di troncare immediatamente quella conversazione, avrei potuto dire che avevo lasciato il gas acceso o che mi stava saltando l’impianto elettrico… optai per le false interferenze, ero un mago a simulare con suoni gutturali una cattiva ricezione ma, prima che potessi cominciare con lo spettacolo lei mi interruppe dicendomi – Va beh, lo so che sei imbarazzato… che fai oggi, io posso uscire verso le 5, ti va di venire? – – Certo, ci vediamo alle 5 – e riattaccai. Subito dopo mi ricordai di essere un lavoratore e telefonai, naturalmente in ufficio – Ciao Giancarlo, ti spiace se mi prendo un pomeriggio? – – Nessun problema – rispose lui, ed in un battibaleno ero sotto la doccia pronto a darmi un aspetto decente per l’incontro. Uscii di casa mezzora prima e aspettai sotto casa sua che si facessero le 5 prima di suonare il citofono. Quando scese la stetti a guardare immobile sull’uscio, il suo viso era pulito e dolce, forse l’aveva piantata con quella vita ed io sentivo una grande voglia di abbracciarla solo per quella superficiale impressione. – Ciao, ti trovo bene – – Io benissimo – risposi – sei fantastica, ti si legge in viso la serenità – Lei ammiccò col capo, poi si avvicino per baciarmi sulla guancia, mi prese per mano e mi guidò verso la moto. – Andiamo in moto oggi? C’è una bella giornata… hai fatto bene a prenderla – E così entrambi balzammo a cavallo della mia moto con destinazione ignota. Lei si strinse a me, avevo voglia di portarla nei paraggi della diga, meta di tante mie peregrinazioni solitarie. E così ci ritrovammo accovacciati sui bordi del grande lago ad osservare il riflesso del sole sullo specchio dell’acqua. Non potevo sperare in qualcosa di migliore, guardavo il cielo e poi i suoi occhi, guardavo il luccichio dell’acqua e poi il suo viso, e le mie dita si intrecciarono ben presto con le sue. Oh l’amore, l’amore è duro a morire. – Allora, perché hai rinunciato a Bologna? – mi domandò lei. – Non potevo fare a meno di te, cara – risposi io in tono teatrale, sapevo che adorava quelle scenette, poi entrambi ci guardammo fissi negli occhi, senza dir nulla, con i soli suoni della natura che ci avvolgeva. Lei interruppe il momento magico – Che sguardo intenso! Come devo fare con te. – – Beh – risposi io – ti basta solo amarmi, sempre che questo non ti costi troppo -. Ci baciammo e, in attimi che parevano ore, ebbi la precisa intuizione che fossi precipitato in un baratro senza fondo che mi avrebbe solo potuto portare sempre più in basso. Non so perché la mia ragione si fosse posta in modo talmente autoritario sui bisogni del cuore, forse era semplice istinto di autoconservazione, forse erano le terribili punture che scorgevo ancora sul suo braccio. – Andiamo via – le dissi. La accompagnai a casa e le dissi che era meglio non incontrarci più. Poi tornai a casa e mi disperai, per circa un mese non volli vedere nessuno, mi immersi nel lavoro abbandonando ogni cosa: l’amore, la musica, le canne, insomma tutto ciò che fino ad allora aveva arricchito di senso la mia vita.

EPILOGO

La rividi Cristina, circa sei mesi dopo. Feci in tempo a vederla in viso, un attimo prima che sigillassero la bara, era violacea in viso, e il volto era contratto in una smorfia di dolore cui probabilmente neanche i becchini erano riusciti a porre rimedio, indelebile segno della morte terribile che doveva aver subito. Non so cosa provai al suo funerale, se un vero senso di dispiacere dovuto alla perdita di una persona per la quale non riuscivo a non serbare ancora grande affetto, o se la delusione dovuta all’amara conferma che anche gli spiriti liberi sono incatenati al proprio corpo.

Quando la cerimonia terminò mi guardai intorno, eravamo si e no sette o otto persone di cui, giovani, solo io e Marika. Ricordo che il sole era appena tramontato quando decisi di uscire dal cimitero, ero rimasto a fissare la sua tomba fin quando i raggi del sole non si erano smorzati illuminando il cielo di sfumature intense di rosso.

Arrivai traballante al grande cancello di ingresso e notai subito un garofano per terra che probabilmente aveva lasciato cadere qualche fioraio che bazzicava nei paraggi durante le giornate di visita. Raccolsi il fiore e ne osservai l’ombra che si proiettava sul terreno. Chiusi gli occhi per evitare di lasciarmi andare ad una crisi di pianto, li riaprii poco dopo e fu allora che, accanto a quella del fiore, vidi l’ombra di un profilo conosciuto che stava accanto alla mia. Mi voltai, ma intorno non avevo nessuno, e intanto quell’ombra era già svanita… ancor oggi mi chiedo cosa potesse avere di così speciale il mio dolce e impossibile amore, e non so rispondere.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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