Cloud Atlas

16 Gennaio 2013
2 minuti di lettura

Su questo film se ne sono sentite davvero tante, e non ho timore nel mancare di rispetto a qualcuno se dico che, prima di giudicarlo col pollice verso, bisognerebbe avere l’umiltà di riconoscere che non è facile da comprendere e che bisogna metterci un po’ di testa.

Probabilmente è un film che non passerà alla storia: troppo anticonvenzionale, sicuramente il contrario di un blockbuster anche se, per fortuna, gli investimenti ne hanno permesso una distribuzione capillare ed un successo di pubblico che a mio parere è giustificato dal cast di attori presenti.

Mi è piaciuto, perchè quando da esco dal cinema e mi sento contento di aver passato tre ore seduto davanti ad uno schermo è un ottimo segno; se poi mi va di parlarne con gli amici stando attento a cogliere significati che posso essermi perso ed alla fine della discussione mi accorgo che ognuno ha negli occhi l’espressione di chi ne ha ricavato un messaggio significativo, allora torno a casa come adesso e ne scrivo, perché al di là del mero intrattenimento, il cinema è anche una forma d’arte e come tale arricchisce.

Probabilmente ho colto il significato che più mi stava a cuore, perchè delle connessioni/reincarnazioni mi è sempre fregato poco o nulla e gli spot hanno incentrato tutto su  quest’aspetto. In realtà la sensazione è stata che i significati fossero innumerevoli, alcuni dei quali nascosti dietro piccoli dettagli.

Lungo gli intrecci temporali di 6 storie spalmate in 5 secoli di storia ci viene raccontato di come, alla fine, l’umanità ricada sempre negli stessi errori. Tuttavia come l'”ordine” imposto da una società, da un istituto, da un pregiudizio, dalla violenza ci vorrebbe obbedienti e ligi alle regole, allo stesso modo esistono individui che, come gocce nell’oceano, sacrificano la vita per quelle piccole cose grazie alle quali oggi, almeno nel mondo occidentale, molti fra noi non devono preoccuparsi di cosa significhi essere privati di uno dei diritti fondamentali dell’uomo: la libertà.

Attori formidabili, trame che non si sviluppano nei facili criteri hollywoodiani e che ci fanno sorridere, commuovere, che ci esaltano e ci sdegnano  in mezzo a piccole perle tratte da citazioni illustri: da Madre Teresa (la metafora delle gocce nell’oceano) al filosofo George Berkeley, esse est percipi (Esistere è essere percepiti).

Un film sul valore dell’individuo che troppo spesso si adatta al cosiddetto “ordine” o che non riesce a liberarsene scegliendo per questo il suicidio, mentre al contrario al grido “Soylent Green! Soylent Green è fatto di persone!” Cavendish si riappropria del suo diritto alla libertà limitata dalla vendetta di suo fratello, come Ewing che salvato da una schiavo si schiera dalla parte degli abolizionisti ed il clone che dopo un’esistenza votata al consumatore diventerà la dea Sonmi 451 (citazione a Fahrenheit 451 di Bradbury) nello scenario post-apocalittico della Grande isola di Haway.

Tanti i temi, ognuno incentrato sulla chiara distinzione fra bene e male che non è quella disneyana, perché il buono non vince sempre e perché nonostante tutto la razza umana è destinata a perire.

Un film che mi ha fatto pensare alla vita dei singoli ed al dovere di lottare contro quell’annichilimento imposto dalla tendenza di alcuni di schiacciare gli altri, nelle piccole come nelle grandi cose.

“Io non sarò mai soggetto a maltrattamenti criminosi”.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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