aspirina e malinconia

20 Ottobre 2007
3 minuti di lettura

Eccomi qui, di sabato sera, ad aspettare che cessi il gorgoglio dell’aspirina con un mal di testa da cani ed un desiderio spaventoso di uscire all’aria aperta.

Non so cosa mi prenda, certe volte tollero poco qualsiasi evento si affacci sulla mia esistenza, sono stanco di quest’influenza, stanco di questo tempo, voglio ricominciare a correre col fedele Ipod attaccato al braccio, tuffarmi tra le braccia di un tramonto e respirare l’aria pulita del lago (Santa Rosalia-Giarratana) invece di intossicarmi col fumo delle sigarette e dell’essenza ai frutti di bosco che nebulizza il bruciatoio.

In questi giorni ho riguardato le foto e gli appunti del mio ultimo viaggio, contavo di confezionare tutto il materiale in maniera adeguata per pubblicarlo in una apposita sezione, ma in questi 2 mesi ho perso qualsiasi capacità di dedizione costante a qualsiasi attività, in poche parole non ho un katz di concentrazione. E penso e ripenso a quanto tempo sta passando, a quanti giorni sto sprecando dietro un’ideale ricerca dicotomica (si potrà dire?) riguardo il sentimento amore: è favola o realtà?! Si sa, queste cose vanno sempre a fasi, ci sono le fasi in cui sopporti e scopri misteriose energie che ti fanno andare avanti comunque, e poi ci sono gli stramaledetti sabati (come questo) passati tra aspirine e malinconie, ed ogni singolo minuto ci tiene a farsi ascoltare, secondo per secondo, senza dare alcuna tregua al mio cervello spossato.
In aggiunta a questo ho anche avuto la splendida idea di rileggere I Fiori del male e vi dirò, mi sono complicato le cose:

Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
sullo spirito che geme in preda ai lunghi tedii
e, dell’orizzonte abbracciando tutto il cerchio,
ci versa una luce nera più triste delle notti;

quando la terra è mutata in un’umida segreta
dove la Speranza, come un pipistrello,
va battendo i muri con l’ala timorosa
e picchiando la testa contro marci soffitti;

quando la pioggia sciorinando le sue immense strisce
imita le sbarre di una vasta prigione,
e un popolo muto d’infami ragni
viene a tendere le sue reti in fondo ai nostri cervelli,

campane ad un tratto balzano su con furia
e lanciano verso il cielo un terribile urlo,
come spiriti erranti e senza patria
che si mettano a gemere ostinatamente.

– E lunghi carri funebri, senza tamburi nè musica,
sfilano lenti nell’anima mia; la Speranza,
vinta, piange, e l’Angoscia atroce, dispotica,
sul mio cranio chino pianta il suo nero vessillo.

Ecco, leggendo questo passo e molti altri ho avuto la chiara sensazione di non essere estraneo agli stati d’animo descritti da Baudelaire nell’ennesimo Spleen, e guarda caso erano tutte Spleen le liriche sulle quali i miei occhi si sono posati nella convinzione di poterne trovare conforto. Ed effettivamente la bellezza delle parole concede un momentaneo benessere salvo quando scatta l’inevitabile paragone con le mie attuali sensazioni: la speranza vaga dentro il cuore mio proprio come un pipistrello, sembra che voglia venir fuori ma non lo fa, pur facendomi temere ogni ora che l’incantesimo possa sciogliersi e lasciare così i lunghi carri funebri sfilare nell’anima. Non abbasso la testa, non ancora, ma questi giorni di solitudine tendono le loro reti in fondo al cervello, immobilizzandomi, proprio come infami ragni.

Imploro la tua pietà, unica amata mia,
dal fondo dei buio abisso ove il mio cuore è caduto
E’ un tetro universo dall’orizzonte plumbeo,
dove nella notte fluttuano orrore e bestemmia.

Un sole senza calore per sei mesi v’incombe,
e per gli altri sei mesi la notte ricopre la terra;
è un paese più nudo della regione polare:
non bestie, non ruscelli, non verdura, non boschi!

Or non v’è al mondo orrore che superi
la fredda crudeltà di questo sole di ghiaccio
e questa immensa notte simile al vecchio Caos;

io invidio la sorte dei più vili animali
che possono immergersi in uno stupido sonno,
tanto lentamente si dipana la matassa del tempo!

Lentamente si dipana la matassa del tempo, ed ogni attimo è puro dolore… non sempre, ma il dolore s’imprime con maggiore efficacia tra i ricordi… ed invidio Nemo, in questi giorni sembra che risenta delle mie negatività tanto che s’imbosca in uno dei suoi soliti nascondigli e non ne esce se non per mangiare, e poi dorme sempre, e magari sogna la scatoletta dei Diamant che gli passo solo la domenica, o dell’Etoile che ruba dal piatto di Tea.

T’adoro al pari della volta notturna,
o vaso di tristezza, o grande taciturna,
e tanto più ti amo, o bella, in quanto mi sfuggi
e mi pare che tu, ornamento delle mie notti,
più ironicamente accumuli le leghe
che separano le mie braccia dalle immensità azzurre.
Avanzo all’attacco e m’inerpico agli assalti,
come presso un cadavere un coro di vermi,
e teneramente amo, o bestia implacabile e crudele,
perfino questa freddezza che per me ti rende più bella.

Dopo questa mi concedo alla benevolenza di Morfeo, che mi attira gentile verso il divano, ancora contrito ma col cuore più sereno mi spengo… a domani.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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