ah…. quella musica

24 Febbraio 2010
8 minuti di lettura

Dopo l’agghiacciante parentesi sanremese (e fortunatamente riguardo a questo giudizio ho pochi detrattori :=)) rieccomi a condividere un pensiero sulla musica e sulla maniera di cui mi piace goderne.

Qualche giorno fa sono stato colto da un’insolita bruciante passione per la musica classica, nel senso che sono tornato ad “ascoltare” con quella giusta predisposizione d’animo che solo musica d’altissimo livello richiede. Con questo non mi dò arie da esperto nè tantomeno da appassionato, anzi, ritengo di essere piuttosto ignorante in materia e me ne rammarico. Ognuno di noi dovrebbe conoscere almeno i principali compositori di quell’epoca, specialmente un musicista-autore, anche solo per poter meglio gustare la musica di oggi che, a meno che non abbia male interpretato gli studi di Bach, trae materia prima dal passato.

Immergersi con l’anima nelle meravigliose sinfonie di un tempo offre potenti strumenti evocativi capaci di portare chiunque ad un’analisi più approfondita dei nostri tempi. MI siedo innanzi le potenti Chario governate da un Arcam delta 90.2 (ringrazio la mania adolescenziale che mi ha fatto desiderare ed ottenere col duro lavoro al pub un impianto da audiofilo), chiudo gli occhi, lascio che ogni singola nota scavi fino in fondo all’anima, fin quando non arriva il crescendo: il volume degli strumenti cresce e ogni nota sembra liberarsi verso l’alto avviluppandosi ad altri suoni gemelli o completamente opposti, il tutto in armonia, senza alcuna dissonanza che non sia voluta, e trasportato nel cielo stellato mi piace pensare all’emozione che potevano provare gli uomini del passato nell’andare a teatro e sentire la 9° di Beethoven diretta dal maestro in persona, e quale magnifica esperienza il poter vivere l’aspettativa di una serata musicale, sensazioni che oggi abbiamo perso, perchè di sicuro ascoltare con le proprie orecchie un suono originato naturalmente non è come seguirlo su una riproduzione digitale, anche registrata con la massima fedeltà possibile. Tuttavia non è solo questo che rende “quella” musica in perfetta sintonia con l’armonia dell’universo, c’è qualcosa che non so spiegare, un concentrato di sensazioni che trascende dall’aspetto tecnico o dagli strumenti utilizzati, qualcosa che andrebbe ricercato nella mente geniale di alcuni dei compositori dell’epoca, forse lontani da tutte le contaminazioni dell’era moderna (tv, consumismo sfrenato, esigenze di mercato) e per questo liberi di creare senza la preoccupazione di dover per forza ottenere il consenso popolare, al tempo preoccupazione dei soli artisti di strada.

Cos’è cambiato rispetto ai giorni nostri. Beh, considerata la premessa (la citazione a Sanremo) non è difficile tirar fuori le prime conclusioni. La musica popolare di allora ha sostituito quasi del tutto ogni parvenza di musica colta, e questo è abbastanza naturale visto che il benessere economico, un tempo concesso solo ad una piccola casta, si è allargato a tutti (sia chiaro che faccio riferimento alla civiltà occidentale). Posso solo ipotizzare le ragioni del declino culturale iniziato quando il popolo ha cominciato ad avere un peso importante nell’economia generale e lo faccio partendo da una considerazione: cos’è che un tempo spingeva il nobile a foraggiare l’opera di un’artista? Probabilmente uno dei tanti requisiti della nobiltà doveva essere una buona conoscenza delle arti, oltre che il sangue blu, ed è probabile che i giovani rampolli del tempo venissero educati all’ascolto della buona musica per mantenere uno status symbol che li distinguesse dalla massa a 360°: al popolo le canzonette, a loro le grandi sinfonie. E allora posso immaginare che grande soddisfazione morale e politica potesse essere per un grande re concedere ad un uomo come Mozart la sua protezione ed il suo denaro perché proseguisse nella sua arte:  un modo insieme ad altri per vantarsi coi suoi pari. Oggi i nobili di allora sono spariti, quelli rimasti se la spassano tra festini e prime di cinepanettoni o, peggio, vanno a Sanremo a dimostrare che hanno perso una delle poche qualità che gli si potevano riconoscere, e cioè il gusto per la buona musica. Oggi è il popolo che decide cosa va e cosa non va e anche se questo stato di cose ha conosciuto dei tempi d’oro, basti pensare al cinema italiano ai tempi di Fellini o a quei meravigliosi anni 70, oggi mi sento di dire che la tendenza è quella di un impoverimento culturale collettivo che avanza negli anni a ritmo esponenziale. La cosa che più mi stupisce è che il progresso tecnologico che avrebbe dovuto migliorare l’indottrinamento popolare, in realtà sta facendo strage di tutte le poche cose buone che vengono fatte, e questo perché anziché promuovere, inflaziona un mercato che è arrivato alla saturazione. Quand’ero ragazzo aspettavo con trepidazione la fine del mese per comprare il mio bellissimo lucido disco in vinile per farlo girare sul piatto fino ad imparare a memoria le parole ed ogni singola nota, oggi ci vantiamo di quanti terabyte di musica abbiamo nei nostri hard disk senza però ammettere che non c’è un autore che riesca a tenerci in sospensione oltre i tre minuti e mezzo e che non venga subito subissato da un’altra pop star nel giro di poche settimane.

A questo punto viene da pensare che alla fine non sia nè l’istruzione, nè lo stato economico, nè le tecnologie a determinare il buon gusto in fatto di musica, ma solo come si è fatti dentro. Magari alcuni dei nobili di allora si facevano delle grandi dormite durante i concerti dei grandi maestri e di nascosto andavano a sentire il menestrello sotto il palazzo, ciò non toglie che le regole dei tempi imponessero che la canzonetta non avesse alcun valore culturale mentre le sinfonie si, probabilmente si trattava di un giudizio un pò eccessivo, specialmente se pensiamo che ai giorni nostri ci sono stati artisti come Cohen, Dylan, De Andrè, Guccini che hanno fatto della canzonetta uno strumento per trasmettere vera poesia e forti messaggi sociali, d’altra parte non si può negare che le schitarrate di Hendrix non abbiano rappresentato la società dei tempi, distorta e schizoide, e quindi ben vengano le canzonette quando testimoniano i cambiamenti epocali o si trasformano in vettori di sentimenti autentici e genuini, ma… signori… chi fa più canzonette di valore? La spiegazione di questo sta nel fatto che pochi ascoltano e che i più si limitano a sentire e basta. La musica è relegata a mero sottofondo delle nostre attività quotidiane, e questo svela il perchè del successo dello streaming: non importa che musica mettano, l’importante è non restare nel silenzio mentre facciamo altro. I più giovani poi usano la musica per potenziare l’effetto di sostanze chimiche o per attirare l’attenzione in strada coi10.000 watt del loro impianto che riduce del 90% la durata delle batterie delle automobili aumentando drasticamente il consumo di carburante con tanta buona pace per l’ambiente.

A questo punto mi azzardo a sostenere che buona parte degli individui chiamano musica ciò che non lo è e grazie alle tecnologia di ingegneria sonora che sono riuscite a mascherare un rumore facendolo passare per musica. E’ chiaro che chi si è oramai abituato a concepire la musica in questo modo, non potrà far altro che portare alla vittoria del più importante festival della canzone italiana canzoni ipocrite come quella di Filiberto e gente da talent show. Ecco, credo fortemente che la maggioranza della popolazione abbia disimparato il gusto per la m
usica perchè non riesce più ad ascoltarla nel modo in cui dovrebbe essere ascoltata.

Shakespeare scriveva:

“Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall’armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell’animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l’Erebo. Nessuno fidi mai in un uomo simile.”

Guardiamoci intorno. Fermiamoci per un attimo a guardare gli uomini che tengono le redini della nostra società… non sono forse lo specchio del popolo? Ecco, a questo punto non è difficile concludere che la sciatteria interiore impedisca ai più di affinare il proprio orecchio; probabilmente è stato così anche in passato ma consentitemi di pensare che da questo punto di vista le cose sono notevolmente peggiorate.

La colpa di questo stato di cose potrebbe essere imputabile alla vita che facciamo, ai continui stimoli (facili e vuoti) che ci somministra la società di oggi: discoteche, serie tv, programmi spazzatura, oltre ai ritmi frenetici e ai mille pensieri che non ci consentono di ritagliare per l”’ascolto” della musica anche un ora al giorno… e si può dire lo stesso per la letteratura… chi legge oggigiorno? Lo so, sembra il solito patetico discorso di un “non più giovane” frustrato: la colpa è della società, dei media, ai miei tempi le cose andavano meglio etc etc , qui però non parliamo di anni 80, che comunque avevano il loro squallore estetico, ma di diversi secoli fa: i tempi di Strauss, Beethoven, Mozart, Wagner, Debussy, Shubert (quanti ne possiamo aggiungere alla lista) che confrontati coi mostri (in senso letterale) di oggi sembrano davvero appartenere ad un pianeta che non è la terra … possiamo onestamente sostenere che la cultura musicale della massa sia migliorata nei secoli? Io credo di no perchè se andiamo a guardare il popolare di una volta, ad esempio la musica celtica irlandese o anche le nostre tarantelle, c’è cmq cultura, tradizione e soprattutto cuore, mentre ad oggi il “pop” è solo mero spettacolo.

Ma al solito ho divagato, oggi volevo parlare della musica classica e ho finito per fare il solito patetico discorso sulla bruttezza estetica dei nostri tempi. Fino a qualche minuto fa ascoltavo il Valzer dell’imperatore di Strauss… mi sono fermato un attimo, perchè per ascoltare musica classica ti devi fermare ed è impensabile pensare di poterla capire usandola come sottofondo alle tue attività quotidiane, ecco… è stato così che sono entrato nell’anima del compositore che di certo non ti attira perchè ha un aspetto carismatico, o perchè tutti i giorni fa delle cazzate che finiscono sui giornali scandalistici, non è neanche lui in persona che suona perchè ai tempi non c’erano registratori di alcuna natura, eppure entra nell’anima e commuove e la cosa più straordinaria è che ti fa immaginare, e lo fa con una forza che è diversa da quella di un quadro (perchè l’immagine già condiziona il soggetto della fantasia) così come da quella di un libro. Ero lì, con gli occhi chiusi, che guardavo questo imperatore grasso scendere la lunghissima scalinata del suo palazzo, con la barba che grondava sudore e con un’espressione in viso di finta nobiltà che tradiva la stanchezza… e poi, quando i toni dell’opera si ammorbidiscono, vedo lo stesso imperatore nella sua grande camera, da solo, perso in una solitudine infinita, con 6 concubine che non lo amano e che lui non ama, che tossisce e macchia di sangue il fazzoletto reale, un uomo che tutti temono a sua volta spaventato dalla morte, un poveraccio… forse Strauss voleva farne un ritratto di forza e di maestosità, ma io l’ho visto ridicolo nel suo abito e nei suoi portamenti, ho pure riso di gusto mentre immaginavo la scena… ecco la bellezza della musica classica, puoi leggere quello che vuoi, e poi quei crescendo, le alternanze tra parti veloci e pompose e quelle appena sussurate da un oboe o da dei flauti, lì ci sono le emozioni umane, così altalenanti e varie, ed il tutto concentrato in una sola opera… perchè oggi non si riesce a dare spazio a tutto questo?

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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